La riforma del mercato del lavoro


Il presidente del consiglio Mario Monti aveva preso un impegno chiaro con Alfano, Bersani e Casini: lavorare fino all'ultimo per un accordo con tutte le parti sociali, senza cercare divisioni o accordi separati, di memoria sacconiana.

Ieri sera, in diretta tv, il paese ha assistito invece alla conferenza stampa con la quale Monti ha trovato il modo di esplicitare con il massimo del clamore che la Cgil è l'unica che ha manifestato la propria contrarietà rispetto alle modifiche all'articolo 18.

E’ stato questo l'epilogo di una lunga giornata nel corso della quale la Cgil aveva posto sul tavolo del governo anche la proposta della soluzione tedesca per l’articolo 18. Ma questo non è bastato al governo.

Come scrive oggi su Repubblica Massimo Giannini, lo strappo si è dunque compiuto. Il presidente del Consiglio ha deciso di scrivere la sua riforma del mercato del lavoro sacrificando la Cgil. Un sacrificio pesante, e gravido di conseguenze.

È ancora una volta l'articolo 18 a segnare un decisivo cambio di fase, che modifica strutturalmente non solo le relazioni industriali, ma anche le consuetudini politiche del Paese. Dietro alla rottura tra Monti e Camusso c'è molto di più di un dissenso sulle nuove norme che regolano i licenziamenti.

C'è la fine della concertazione, che ha scandito i rapporti tra politica ed economia nella Seconda Repubblica. C'è la fine di una costituzione materiale, che dal 1992 ha affiancato la Costituzione formale nelle fasi più acute della crisi italiana.

La preoccupazione della Camusso è tutt'altro che infondata.

In questo nuovo schema l'articolo 18, di fatto, non viene "manutenuto", ma manomesso. I diritti si trasformano in moneta. Una forzatura inaccettabile, in un Paese in piena recessione, con una disoccupazione giovanile del 29,7% e un nuovo sistema di ammortizzatori sociali che entrerà a regime solo nel 2017.

In queste condizioni, la "via bassa" della produttività e della competitività scelta finora dalle imprese espone i lavoratori a un rischio oggettivo: qualunque crisi aziendale sarà regolata con i licenziamenti per motivi economici, al "prezzo" di un indennizzo che costerà poco più di un qualunque pre-pensionamento.

Nell'insieme dei cambiamenti annunciati e dei quali il governo ha discusso ieri con imprese e sindacati vi sono anche aspetti positivi, in particolare sul tema della lotta contro la precarietà e sull'ampliamento della copertura solidale alla generalità dei lavoratori.

Ma, come ha detto ieri sera Bersani a caldo, su quel che c’è di buono e su quel che c’è da correggere si dovrà pronunciare seriamente il Parlamento.

Secondo Bersani, infatti, "Il Governo doveva cercare l'accordo fino all’ultimo, ma davvero. Non lo ha fatto. Per come ha condotto il confronto con le parti sociali si direbbe che si è preoccupato più di dare un scalpo ai mercati che affrontare il tema della riforma del mercato del lavoro ricercando coesione sociale".

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