Una fotografia dell'economia italiana


In questi giorni sono usciti un po' di dati economici.

Ne esce la fotografia di un Paese che non cresce e con un debito elevato,dove la pressione fiscale è al 42% e le famiglie non spendono.

Nel 2011, il rapporto tra il deficit e il Prodotto interno lordo si è attestato al 3,9%, in calo rispetto al 2010, quando era stato pari al 4,6%. Il Pil è cresciuto nel 2011 dello 0,4%.

La disoccupazione a gennaio ha raggiunto il 9,2%, il tasso più alto dal 2004, con quella giovanile arrivata al 31,1%.

E ancora: a febbraio il tasso di inflazione è stato del 3,3%, ma il carrello della spesa, cioè i prezzi dei prodotti acquistati con maggiore frequenza sono aumentati del 4,5%.

E' questa l'impietosa fotografia dell'Italia, scattata dall'Istat, che indica quali sono i parametri sui quali deve lavorare il governo Monti e chi verrà dopo di lui.

Nei giorni scorsi il Premier ha indicato le linee di fondo che intende seguire negli interventi fiscali, anche in vista del lavoro da fare sulla delega già approvata all’epoca del governo Berlusconi.

Tra le altre cose, Monti ha indicato la volontà di spostare il peso del fisco dalle imposte dirette (sui redditi da lavoro e da impresa) alle indirette (consumi), l’intenzione di rafforzare il contributo sui proventi della finanza e la lotta all’evasione fiscale.

Bersani ha commentato così queste ipotesi di lavoro del Governo: “Sono molto convinto di quello che ha detto il presidente Monti sul tema di una fiscalità che dia un'occhiata seria alle rendite finanziarie, a cominciare dal fatto che la grande finanza paghi un po’ di quel che ha provocato: non è che l'Italia deve dar via tutti i suoi debiti pubblici sul welfare e sull'occupazione. La tassa sulle transazioni finanziarie significa questo: scaricare un po’ del sovradebito facendolo pagare a chi l'ha provocato. E da lì in giù un'attenzione molto forte a che venga alleggerito il carico sulle attività e sugli investimenti che producono lavoro, sulle famiglie che devono consumare e che invece non lo fanno".

Intanto, l’incontro tra governo, sindacati e imprenditori previsto per ieri è slittato dopo un confronto tra il presidente del Consiglio Mario Monti e la ministra Elsa Fornero.

La causa del rinvio ha rimesso al centro del dibattito la concretezza dei problemi: quante risorse finanziarie possono essere impiegate per sostenere la riforma degli ammortizzatori sociali e quindi tutto l’impianto del mercato del lavoro che ne può derivare.

Per avere un’idea delle quantità in gioco, basti presentare alcuni dati della realtà: i lavoratori italiani che prendono l’indennità di disoccupazione nel 2007 furono in 200.600. Nel 2008 diventarono 260.200, nel 2009 quasi raddoppiarono: 442.000. E nel 2010 hanno sfiorato la soglia dei 500.000.

In pratica mediamente nell'ultimo triennio poco meno di un milione di lavoratori all'anno ha usufruito di un sostegno al reddito perché ha perso il posto. Poi ci sono i cassintegrati nelle varie forme (ordinaria, straordinaria, in deroga), ovvero coloro che ricevono il sussidio ma rimangono legati all'azienda di provenienza. Negli ultimi tremendi anni di crisi anche il ricorso alla cassa integrazione è aumentato in modo vertiginoso, dalle 184 milioni di ore di cassa integrazione autorizzate a ben 1 miliardo e 204 milioni di ore nel 2010. Nel 2011 l`asticella è scesa, ma non di molto: 953 milioni di ore.

Uno scenario così naturalmente ha comportato un'esplosione di costi per il mantenimento degli ammortizzatori sociali: negli ultimi tre anni il conto complessivo è stato di 53,8 miliardi di euro.

Il punto concreto al centro del confronto ora è dunque: quante risorse ci vorranno e ci saranno per modificare questo sistema senza peggiorare ma anzi migliorare la rete di sicurezza per tutti i lavoratori stabili e precari, già coperti e ancora no?

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