La manovra, la recessione, l'equità


Ieri pomeriggio, con 257 sì, 41 no e nessun astenuto, il Senato ha votato la fiducia sulla manovra "salva Italia", che così è diventata legge. Il premier Mario Monti, parlando a Palazzo Madama, ha detto che il decreto anti-crisi «mette l'Italia in condizione di affrontare a testa alta la gravissima crisi europea».

Già, perchè i dati pubblicati ieri confermano che l'Italia è in recessione: il prodotto interno lordo nel terzo trimestre 2011 è diminuito dello 0,2%, dal '96 a oggi le retribuzioni lorde sono rimaste al palo, con l'inflazione e il cuneo fiscale, che fanno perdere terreno ai salari, già tradizionalmente bassi in Italia. E le prospettive per il 2012 non sono assolutamente rosee.

Incassata la fiducia, si passa ora alla "fase due", secondo il premier «già insita nella prima» e che avrà «come tema chiave il mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali. Sarà necessario e possibile procedere con le forze politiche e sociali in modo diverso da quello finora usato, perché il mercato del lavoro richiede per sua natura un maggior dialogo con le parti sociali».

Come ha detto l'altro giorno il Presidente Napolitano, non c'è risanamento senza crescita, e senza politiche per la crescita rischiamo di dilapidare anche questa manovra.

E, come dice Bersani, il paese non si salva senza cambiamento e coesione, ci vogliono tutte e due le cose, pensare di salvarlo con una sola non va bene. E coesione significa orecchie attente agli interlocutori sociali.

Molto del futuro dell'Italia dipenderà da come usciremo da questa crisi. Stiamo assistendo ad un vero e proprio passaggio di epoca che ci impone di affrontare l'emergenza, tenendo fermo lo sguardo sul futuro.

E che cosa, se non la politica, può garantire questo nesso?
Altro che meno politica!

Sono questi i momenti in cui la politica deve sapere riaffermare il suo primato. Guai dunque a smarrire il filo tra le scelte di oggi ed il domani che vogliamo, convinti come siamo che a quel domani si deve arrivare con nuove regole e con una significativa redistribuzione del reddito. Sì, una redistribuzione del reddito.

Una società nella quale, come ci ha ricordato la Banca d'Italia, alla fine del 2008 il 10 per cento delle famiglie possedeva il 45 per cento della ricchezza nazionale, mentre la metà delle famiglie ne deteneva solo il 10 per cento, è una società inevitabilmente destinata al declino.

Ecco perché il Partito Democratico insiste sul tema dell'equità: è un bisogno di giustizia sociale, è anche un'esigenza economica, sulla quale il PD ha già dimostrato di lavorare concretamente (qui come è stata modificata la manovra grazie a noi).

La sfida è di quelle che possono far tremare i polsi, ma il Partito Democratico la affronterà, consapevole delle difficoltà che ci aspettano, ma con la serenità e la determinazione di chi sa che l'Italia è un grande Paese, che ha al suo interno le risorse umane e morali per vincere questa sfida.

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