Renzi oltre le attese, flop Emiliano, Orlando così così. Una prima analisi




Non si è valutato abbastanza che in questi anni la base del Pd è cambiata molto. Cosi  sull'Unità.


Giunti in vista del traguardo finale del congresso nei circoli Pd si possono avanzare le prime riflessioni su un risultato che, punto più punto meno, ormai sembra abbastanza consolidato. E che vede la vittoria di Matteo Renzi con una percentuale che – secondo i dati della Commissione nazionale – è al 69%, davanti a Andrea Orlando col 27% (ma gli “orlandiani” contestano e parlano di oltre il 30%) e Michele Emiliano con il 4%.
I numeri potranno cambiare (è probabile che Emiliano superi quel 5% indispensabile per correre alle primarie) ma – dicevamo – le grandezze sono più o meno queste. Da tenere presente che l’affluenza finora è del 60%, più alta dell’ultimo Congresso del 2013 (Renzi-Cuperlo-Civati-Pittella) di 7 punti.
Se l’affluenza restasse così ci sarebbe un primo elemento di riflessione. E cioè che pur con mille problemi il Pd resta l’unico partito organizzato sul territorio nazionale e che il livello di militanti attivi, cioè quelli che vanno a votare al Congresso di circolo, resta abbastanza alto. Il che però contrasta con un evidente declino della presenza quotidiana sul territorio soprattutto in alcune zone del Paese: vuol dire che a fronte di una disponibilità relativamente di massa si continua a scontare pesantemente una inadeguatezza degli strumenti di partecipazione.
Sul piano della competition fra i tre candidati, non era scontato che nei circoli Matteo Renzi viaggiasse su percentuali così alte. Fra i sostenitori dell’ex segretario c’è chi dice che a certe condizioni (una partecipazione fortissima al Sud, per esempio) potrebbe raggiungere il 75%. Verosimilmente si fermerà prima. Ma è da ricordare che nel 2013 nei circoli Renzi non raggiunse il 50%(46,7%, per l’esattezza). C’è un balzo in avanti di svariati punti.
La spiegazione è che che in questi anni il tesseramento al Pd è molto cambiato. Molte persone hanno lasciato il partito (una scheggia, da ultimo, è andata con l’Mdp – una scelta, secondo noi, di involontario aiuto a Renzi), e molte altre vi sono entrate: si tratta di una quota più importante di quello che generalmente si ritiene e che potremmo definire di “nativi renziani”.
Il Pd – tranne alcuni luoghi – davvero non è più l’ultimo vagone della storia Ds. Ma un partito nuovo. Che di fronte alle difficoltà della situazione – mondiale e italiana – investe ancora nell’ex segretario, in qualche modo “si aggrappa” a lui come la chance più efficace per sconfiggere l’antipolitica in salsa grillina che monta nel Paese.
Ha spiegato alla Stampa il portavoce della mozione Renzi, Matteo Richetti: “La nostra comunità sta sostenendo il suo segretario. Anzi, la sconfitta del 4 dicembre ha prodotto tra i militanti una gran voglia di reagire”. Ed è probabile che l’atteggiamento post-4 dicembre di Renzi sia stato azzeccato: le doppie dimissioni, il (relativo) farsi da parte, la molto minore esposizione mediatica, alcuni segnali di capacità inclusiva.
Per lui, adesso, la grande scommessa sono le primarie. Non sarà difficile vincerle. ma con con quale affluenza popolare ai gazebo? Questo è già il tema al quale si pensa. Renzi sarà più “visibile”, ovviamente. Ma senza strafare, né in tv né nelle piazze. Il vincitore annunciato non ha interesse a innervosire il clima. Specie sapendo di avere alle spalle una affermazione persino inaspettata nel partito, che ormai è diventato il “suo” partito.
Andrea Orlando veleggia intorno al 30%. E’ senz’altro riuscito a parlare a tutto un mondo ex ds e ulivista (l’appoggio dei prodiani e Enrico Letta è significativo) anche se proprio questo in un certo senso si sta rivelando un po’ un limite, per certi versi lo stesso limite che ebbe Gianni Cuperlo nel 2013 (che però prese il 38,4%). L’altro problema per lui è coniugare la critica sempre più vivace nei confronti di Renzi (oggi ha detto che con lui non vinceranno le elezioni) con il fatto di essere stato nella sua maggioranza nel partito e ministro nel governo.
L’idea neo-socialdemocratica di cui Orlando si è fatto portatore (iniziò la campagna parlando di una Bad Godesberg per il Pd, evocando la conferenza nella quale l’Spd abbandonò il marxismo) non è riescita a costituire un’alternativa secca al renzismo ma ne rappresenta solo una variante: ma qui siamo ai limiti della politologia buona per i gruppi dirigenti.. E forse non si è capito bene nemmeno cosa debba esere, il partito che Orlando ha in mente. Tuttavia il Guardasigilli mette in cantiere una performance di consensi che un domani gli potrà servire per contare nella direzione del partito e nella composizione delle liste elettorali.
Interessante sarà il risultato finale dei circoli di Roma, dove Orlando gode di appoggi importanti, da Zingaretti a Bettini, e dove le distanze da Renzi sono affiorate con evidenza. Sembra profilarsi un testa a testa. Vincere a Roma per Orlando sarebbe certo un ottimo risultato, sembrava facile ma non lo è.
L’altro aspetto sorprendente è il flop – almeno per il momento – di Michele Emiliano. E’ probabile che il risultato finale lo quoti più su del 4% che risulta finora. Ma questo non cambierebbe di molto una valutazione su un dato che alla vigilia nessuno si aspettava. Perché la candidatura di Emiliano, cioè di un personaggio così energico, mediatico, passionale, è stata sostanzialmente rigettata dagli iscritti del Pd?
Una prima ipotesi è che il governatore della Puglia abbia impostato male la sua campagna. Volendo prendere a cornate Matteo Renzi ha dato l’impressione di voler prendere a cornate il Pd in quanto tale. Dipingendo il partito come una roba da rivoltare come un calzino, non solo politicamente ma anche, se si può dir così, moralmente. Tutto il tono della mozione – specie la parte finale – non è semplicemente critico con quello che il Pd ha fatto in questi anni. Un gruppo dirigente lo si può combattere anche molto duramente ma non puoi chiamarlo “quella gente là”. Difficile convincere che sei il leader giusto di una storia praticamente irrecuperabile.
L’impressione è che di fronte a questa specie di grillismo in salsa Pd ci sia stata una crisi di rigetto degli iscritti. Lo ha scritto bene Andrea Romano. L’eccesso di caratterizzazione è risultato alla fine come un boomerang che gli è tornato indietro pesantemente.
Non ha certo pagato – seconda traccia di lavoro – la minaccia di uscire dal Pd fino al giorno prima dell’annuncio della candidatura. Un giorno fai la foto con Speranza e Rossi, il giorno dopo vai alla direzione del Pd: molti non hanno capito. E’ parsa una sgrammaticatura politica, una mancanza di chiarezza.
Tra l’altro, il ripensamento ha fatto infuriare quelli che poi se ne sono effettivamente andati – fondando Art.1-Mdp – e probabilmente uno in particolare, Massimo D’Alema. A guardare le basse performance del governatore nella sua Puglia viene fatto di pensare che l’ex premier non gli abbia certo dato una mano, anzi. E’ noto infatti che gli scissionisti tifano Orlando (e lo sosterranno alle primarie): è il Guardasigilli l’anti-Renzi, non lui.
Relativamente forte al Sud, Emiliano non è minimamente in partita al Nord. Quando a Milano non raggiungi il 2% sei automaticamente unfit anche se nel Mezzogiorno prendi – e non lo prende – il 70%. Ora, è assolutamente vero che il governatore pugliese – come egli stesso ha sottolineato – non ha una “rete” politico-organizzativa del Nord. Ma persino Ignazio Marino, che all’epoca era solo un senatore, al Congresso del 2009 contro Bersani e Franceschini, andò un po’ meglio, finendo al 7%. E non aveva certo l’esposizione mediatica di Emiliano.
Come detto, l’attesa si sposterà sulle primarie del 30 aprile. Quante persone andranno ai gazebo? Impossibile fare previsioni. Quello che è certo è che i nemici di Renzi, dentro e fuori il Pd, auspicano un’affluenza di un milione di persone, la metà dell’ultima volta, per dire che quella dell’ex premier è una vittoria dimezzata. Ma è chiaro che il clima è destinato a crescere e ancora una volta è possibile che il miracolo delle file ai seggi si ripeta.

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