L’uomo da battere, l’estremista, il moderato: via alla gara fra Renzi, Emiliano e Orlando
Dopo Matteo Renzi e Michele Emiliano, scende in campo Andrea Orlando: saranno i tre candidati alla leadership del Pd (improbabile che altri si aggiungano), i tre che si sottoporranno al voto prima degli iscritti e poi degli elettori alle primarie.
Tre profili diversi, molto diversi. Per questo sarà una bella battaglia. Un bel Congresso. Con Primarie combattute.
Da osservatori, sondaggi e addetti ai lavori, Renzi vincerà. E’ l’ex premier, il segretario fino a domenica scorsa, l’uomo che divide il Paese in sostenitori e odiatori ma che comunque è il punto di riferimento della politica italiana. Anche dopo la rovinosa sconfitta del 4 dicembre, che lo ha piegato ma non travolto. E’ evidente che la “proporzionalizzazione” della vita politica – intesa anche dal punto di vista interno del Pd – è per lui una cornice “psicologica” meno adatta: vengono avanti particolarismi, localismi, leaderismi di vario tipo, in uno slabbramento che non si confà ad una leadership tendenzialmente assoluta come quella che a lui piace. Ma Renzi è ancora Renzi. Quello che dei tre può prendere voti (quanti, lo sapremo solo vivendo) in tutto il Paese, anche se è al Centro la sua miniera.
E’ lui, ancora, l’uomo da battere. Il renzismo non è stata una ventata effimera ma ha piantato appigli nella realtà e nel Pd. Senza contare che è proprio nella battaglia a mani nude che l’ex premier eccelle, in una specie di trance agonistica che gli fornisce una energia e una visibilità mediatica e di idee con cui gli avversari dovranno fare i conti.
Andrea Orlando è la prosecuzione dell’innovazione renziana con altri mezzi. Qui l’abbiamo descritto ideologicamente: “figlio di partito”, istintivamente mediatore e “centrista”, il Guardasigilli può attrarre tutto un mondo ex diessino, e non solo, che apprezza la rupture di Renzi pur non condividendone i modi e i tratti. Una candidatura, in questo senso, rassicurante, gradita a un certo establishment politico-giornalistico di sinistra, che pur scontando un che di élitario e una indisponibilità ad alzare la voce e a farsi mediaticamente appetibile potrebbe avere consensi vasti. Anche perché Orlando potrà contare sull’appoggio di pezzi grossi in diverse regioni, nella sua Liguria, a Roma (Bettini, Zingaretti), a Napoli e forse in Sicilia (dove è stato commissario), un po’ in Lombardia (dove lo sostiene Daniele Marantelli ma difficilmente Maurizio Martina). E attenzione all’apparato della Cgil.
La battaglia di Orlando è anche contro Emiliano per evitare di arrivare terzo: sono i due anti-Renzi, no? Lui gentile e compassato, l’altro arruffapopolo e gran presa mediatica. La lotta per la medaglia d’argento sarà tosta. Perché il Governatore della Puglia non si rivolge tanto agli iscritti, quanto fuori: è già arrivato l’appello a chi vuole né più nè meno la testa di Renzi a venire a votare alle primarie, siano essi bersaniani, pentastellati e quant’altro. In questo senso, quella di Emiliano non è propriamente una candidatura “di sinistra”: ricorda piuttosto quella di Ignazio Marino nel congresso del 2009 contro Bersani e Franceschini Emiliano prenderà voti al Sud, soprattutto. Basteranno per arrivare secondo?
Non è il momento per fare pronostici. Ma adesso le cose sono più chiare. Sia Orlando che Emiliano, dopo, vorranno far pesare i loro consensi. Ne uscirà un Pd inevitabilmente diverso. I tratti della leadership del nuovo numero uno sono destinati a mutare: più segretario di partito che capo di una corrente. Sarà un Congresso vero, purtroppo per quelli che hanno scelto di non parteciparvi.