Il secondo trionfo di Macron è un ciclone che si abbatte sulla politica francese


Lasciate le elezioni comunali, volgiamo lo sguardo alle elezioni francesi della scorsa domenica. Lo facciamo con Stefano Cagelli sul sito Unità.tv.

Se due mesi fa qualcuno avesse scritto che Emmanuel Macron sarebbe diventato presidente della Repubblica francese con il supporto di una maggioranza bulgara all’Assemblea nazionale, e che Theresa May in Gran Bretagna sarebbe stata in balia di un hung Parliament tenuto sotto scacco da dieci deputata dell’Irlanda del Nord (tanto da farla definire dai suoi avversari interni – poco elegantemente – “una morta che cammina”), sarebbe stato preso per matto.
E invece, ciò che abbiamo davanti agli occhi, oggi, è proprio questo scenario.
Dopo la vittoria al ballottaggio del 7 maggio contro Marine Le Pen, il leader centrista-europeista di En Marche! – che oggi si chiama La République En Marche! – si ritroverà con una Camera quasi totalmente a suo favore. Il partito di Macron è il vincitore indiscusso delle legislative francesi, accreditato del 32,6%. Secondo i dati elaborati dall’istituto Elabe per Bfm-tv, si sarebbe assicurato un numero di seggi compreso fra 415 a 445. I deputati dell’Assemblée Nationale sono in tutto 577.
Chi vedeva le legislative come lo scoglio più duro da superare per il giovane presidente è stato quindi clamorosamente smentito. Se tutto filerà liscio nel secondo turno della prossima domenica, Macron dovrebbe riuscire ad incassare un numero di seggi inedito nella storia politica francese, una maggioranza talmente schiacciante da far affermare a qualcuno dei collaboratori che “sarebbe stato meglio vincere con una maggioranza minore per la compattezza del movimento”.
Ma tant’è. Macron – già considerato un simbolo nella battaglia contro il populismo a livello mondiale – avrà ora tutti gli strumenti per mantenere quanto promesso in campagna elettorale. Le aspettative sono tante, anche a livello europeo. Gli alibi non ci sono più.
Al trionfo di En Marche! fa da contraltare la sostanziale tenuta dei Républicains e il crollo delle altre formazioni principali. Il Front National di Marine Le Pen è dato attorno al 13%, poco meglio di La France Insoumise (la Francia ribelle) di Jean-Luc Mélenchon, all’11%. I Socialisti potrebbero fermarsi al 9% delle preferenze. Numeri che potrebbero tradursi, con il sistema a doppio turno di collegio, in un centinaio di seggi per la destra conservatrice e qualche briciola per gli altri tre.
Un vero e proprio tsunami politico che cambia la storia e la geografia della politica francese. Un messaggio chiaro ai populisti di destra – come avvenuto qualche giorno fa al di là della Manica con l’Ukip di Farage – che costringerà Marine Le Pen a rivedere (come ha già cominciato a fare, leggi qui) le sue idee deliranti su Frexit e uscita dall’euro. Ma una lezione anche per la sinistra radicale di Mélenchon che, al di là della buona campagna presidenziale condotta dal suo leader, dovrà decidere cosa vuol fare da grande. E infine la certificazione che il Partito Socialista, fino all’altro ieri un caposaldo della democrazia francese, dovrà ripensare se stesso, anche in fretta, se non vuole scomparire dalle mappe politiche transalpine.
Infine un cenno di invidia per un sistema politico-istituzionale in grado di regalare ai propri cittadini governabilità e credibilità. Se paragonato all’attuale caos nostrano, c’è da mettersi le mani nei capelli.



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