Meno assertivo del solito, un pochino meno polemico, consapevole dei limiti del Pd che lo ha richiamato alla guida (ove mai l’avesse realmente abbandonata) alla Assemblea nazionale di oggi si è visto un Renzi bifronte: molto “coperto” sulla prospettiva politica, molto “aperto” all’idea di un nuovo partito-comunità.
Già: web, circoli, volontariato, società. Persino la (bella) proposta delle “magliette gialle” domenica per ripulire Roma. E le tre parole-chiave gettate nel dibattito pubblico sfidando le sicure ironie di social e politicanti: lavoro, casa, mamma. Pensieri e parole che entrano poco nei discorsi dei leader politici. Ma Renzi ci crede, a questa riconversione sociale del Pd. Accetta la sfida dei grillini sulla Rete, appare insoddisfatto di come funziona il partito, ma non è chiarissimo (a parte la piattaforma Bob) cosa abbia in mente per recuperare.
Può darsi che le primarie gli abbiano infuso come una nuova fiducia nella società civile, a lui che – ricordiamolo – da quella società civile impegnata proviene; può darsi che abbia capito che se si adatta alla sola manovra politica il Pd non ce la fa; può darsi infine che si sia meglio reso conto di quanto drammatica sia la condizione delle persone “normali” – ecco perché casa, lavoro, mamma – e che dunque è necessario che le strutture del partito assumano una funzione “sociale” lasciando quella di mera appendice del partito romano.
Sarà per queste cose e per altre ancora che oggi si è sentito un Renzi più attento alla società che alla politique politicienne, come si è espresso lui stesso.
E infatti sui nodi politici è restato con le carte coperte. Emblematico sulla legge elettorale: “Non faremo il caprio espiatorio”. È un buttare il pallone in tribuna in attesa che il gioco si ridefinisca meglio, è una tattica per snidare gli avversari. Il risultato però è che la situazione non si sblocca ed è prevedibile che non si sbloccherà tanto presto, malgrado i ricorrenti e un po’ retorici annunci sulla “settimana decisiva” che fanno i titolo dei giornali un giorno sì e l’altro pure.
La verità è che nessun partito ha bene in mente quale tipo di sistema politico prediligere e dunque quale modello elettorale si confaccia alla bisogna.
Men che meno i vari leader hanno capito quando gli conviene andare a votare e con quale legge.
Renzi è sempre dentro l’idea del maggioritario e quindi del partito a vocazione maggioritaria che governa praticamente da solo o quasi: anche per questo sente il bisogno di riprendere il rapporto con la società reale e lasciar perdere il tema delle alleanze elettorali (qui la vera differenza con Orlando). Ma siccome nella realtà politica tutto è in movimento – basta guardare i sondaggi che adesso ridanno il Pd davanti a Grillo – il segretario preferisce attendere le mosse altrui, per poi andare a vedere “con chicchessia” una proposta in grado di garantire la governabilità. Uno che crede solo a, doppio turno (da cui il “rosicamento” verso la Francia) si dovrà acconciature a qualcosa di più modesto. Ma per questo non potrà essere lui a proporlo.
Possibile che attenda la formalizzazione di una proposta “buona” da quel Di Maio che ancora oggi l’ha promessa. Una legge che assicuri il premio a chi prende il 37%. Ce la si gioca, a quel punto.
L’impasse si sposa bene con la chiara (questa sì) rassicurazione al governo Gentiloni. Che può andare avanti fino alla fine della legislatura, proprio anche grazie al fatto che una legge elettorale non è alle viste. D’altronde, un po di mesi in più prima delle urne possono far comodo a Renzi, dandogli il tempo di riorganizzare il Pd soprattutto sul fronte della penetrazione sociale della sua iniziativa.