La politica che produce antipolitica
C’è una domanda alla quale non hanno ancora risposto Pier Luigi Bersani, Mario Monti e gli altri autorevoli esponenti parlamentari della maggioranza che in questi giorni si stanno impegnando per il No al referendum: perché mai hanno votato a favore della riforma costituzionale quando il Parlamento ne ha discusso e oggi, fuori da quelle aule, indicano ai cittadini una strada del tutto diversa da quella che loro stessi hanno percorso?
È un interrogativo che va al di là della coerenza personale, investendo direttamente le fonti dell’antipolitica che si annidano anche nel rapporto tra parlamentari e opinione pubblica. Perché se è ragionevole immaginare che non possa esistere una verità per il Parlamento e una diversa verità per il Paese, ne consegue che quel parlamentare che si esprime con il voto in una certa direzione per poi sostenere in pubblico l’esatto contrario contribuisce a demolire la credibilità delle istituzioni rappresentative dinanzi ai cittadini. Si dirà che Bersani ha più volte evocato il celeberrimo «combinato disposto» tra riforma e Italicum per giustificare la propria militanza per il No, salvo dimenticarsi oggi che quel fantasma è stato rimosso dal tavolo attraverso l’impegno pubblico del PD a modificare la legge elettorale. E si dirà anche che Monti ha motivato il No con la contrarietà alla Legge di bilancio, ma per credergli dovremmo essere noi a dimenticarci che tra i motivi fondamentali del suo ingresso in politica c’è stato il rifiuto delle considerazioni contingenti e il tentativo di guardare al merito di lungo periodo delle riforme necessarie all’Italia.
Ma la sostanza non è nelle giustificazioni che Bersani, Monti e altri possono evocare quanto piuttosto nella realtà di una divergenza radicale tra i fatti (il voto parlamentare a sostegno della riforma) e le parole (la propaganda pubblica contro quella stessa riforma). Cosa dovrebbe pensarne un qualunque cittadino già diffidente verso la politica, sfiduciato dai mille motivi che hanno reso le nostre istituzioni tanto deboli nei confronti dell’opinione pubblica? E quella divergenza tra i fatti e le parole non è dunque un potente alimento all’antipolitica che minaccia le fondamenta della nostra comunità democratica?