Morire per Mosul? Tra mine e kamikaze parte una nuova offensiva

Continua sulle pagine de l'Unità lo speciale di Andriano Sofri da Mosul.

(Qui i reportage precedenti pubblicati l’11, il 16, il 18 e 19 e 20 ottobre)

La battaglia per Mosul – sono ancora tante battaglie. Ieri all’alba, dopo che gli aerei della coalizione avevano compiuto i loro raid, una nuova offensiva curda è stata lanciata a nord di Mosul, entro il territorio già largamente cristiano che comprende le cittadine di Bashiqa e Bertella. L’iniziativa è dei peshmerga del Pdk, che hanno base soprattutto a Erbil e Dohuk. Uno dei loro comandanti è Sirwan Barzani, nipote del presidente Masoud: le tribù dinastiche curde hanno infatti almeno questo risvolto, che parecchi dei loro rampolli stanno in campo senza imboscarsi. Questo ulteriore protagonismo dei peshmerga forse è un segno delle difficoltà maggiori incontrate dai militari iracheni, o forse era nei piani.

Fra i curdi non è raro trovare una suscettibilità offesa nei confronti dei cristiani, cui si addebita una scarsa riconoscenza e una condiscendenza verso i curdi, e all’opposto un’inveterata soggezione agli arabi. Sentimento che annoto senza poterne valutare la fondatezza e la diffusione.

La base turca
Bashiqa, avrete letto nei giorni scorsi, è anche la cittadina occupata dall’Isis nel cui territorio il governo turco ha insediato una propria consistente base militare, sostenendo di averne ricevuto l’autorizzazione, anzi la richiesta, dal governo di Erbil, per addestrare truppe curde.

Il proposito turco è un altro, quello di assicurarsi voce e armamenti in capitolo sull’assetto futuro di Mosul e di ravvivare la memoria del vilayet ottomano. Durissima è, almeno a parole, l’opposizio – ne del governo di Baghdad, che ha sul collo il fiato, piuttosto rovente, delle masse sciite di Sadr City mobilitate da Moqtada al Sadr contro il sacrilegio dell’invasione turca.

La cosa si è complicata ieri perché le truppe arabe ufficialmente addestrate dai turchi – 4mila in teoria, 1400 in pratica, pare- obbediscono ad Atheel al-Nujaifi, già governatore di Niniveh, poi riparato a Erbil, dove vive un esilio piuttosto dorato nell’English Village aspettando tempi migliori. Solo che ieri il tribunale federale iracheno ha emanato un ordine di cattura a suo carico, per aver introdotto truppe straniere, i turchi appunto, in territorio iracheno.

Autobomba e cecchini
Sia i peshmerga a nord che l’esercito iracheno impegnato soprattutto da sudest hanno incontrato una resistenza accanita, di autobomba e attentatori suicidi, di mine, di cecchini, di mortai – un colpo ha ferito 4 giornalisti dell’agenzia di Erbil Rudaw, i cui servizi sono preziosi, altri due inviati di una tv locale sono stati feriti- e di agguati dalle gallerie sotterranee. Si combatte villaggio per villaggio. Un’esplosione ha ucciso il generale peshmerga Mustafa Gorani presso Bashiqa. Un’autobomba è stata neutralizzata dai peshmerga nella zona della diga di Mosul – molto lontano dagli ospiti italiani per i quali, militari e civili, non c’è stato alcun allarme. Non vengono date cifre di vittime curde o irachene, quelle dell’Isis sono decine. Almeno quattro suoi miliziani sono stati catturati vivi, che non è frequentissimo. Il primo ministro iracheno, Abadi, che affida all’offensiva in corso la propria sopravvivenza governativa, ha dichiarato che i suoi entreranno a Mosul «presto», e ha continuato a esaltare la nuova unità «nazionale» con i curdi, che è un po’ una constatazione, un po’di più un wishful thinking.

Il corridoio
Ieri a Parigi si è trattato di Mosul e Hollande, che ha bisogno anche lui di tirare il fiato, ha ammonito a non lasciare che al Baghdadi abbandoni Mosul per rifugiarsi in Siria. Baghdadi a parte, la questione del corridoio eventuale che consenta ai miliziani dell’Isis di uscire da Mosul è seria. Per un verso, il governo siriano fa la voce grossa e il suo tenutario russo la fa grossissima contro l’eventualità che i miliziani evacuati da Mosul vadano a dare man forte ai loro commilitoni di Raqqa: obiezione non infondata.

Per l’altro verso, il «corridoio» significherebbe una forte riduzione dei rischi per la popolazione civile di Mosul, che è la posta principale. Tuttavia è difficile credere, se non a un accordo più o meno tacito coi duri dell’Isis – i cui capi sono più renitenti al suicidio dei loro sottoposti- alla possibilità che davvero si rinunci a colpirli quando siano sulla strada della ritirata.

A Mosul gli sgherri neri avrebbero ordinato la consegna di tutte le schede telefoniche e lo smantellamento di antenne e altri apparati di comunicazione. Intanto il vecchio Izzat al Douri, lo sgangherato farabutto vice di Saddam, il «re di fiori», ha rifatto i suoi calcoli. Ha chiesto «mille volte» scusa al Kuwait per l’invasione del 1990, ha detto che l’Isis è una banda di terroristi, che ha ucciso tanti militanti del Baath, e che lui è un suo acerrimo nemico. Ci si aggiorna.

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