Primo Maggio, la festa del lavoro che non c'è


La giornata del lavoro. Un primo maggio che quest'anno non riesce a essere una festa, ma l'appello di un impegno da rinnovare. 

"Purtroppo, oggi, c'è da pensare anche al lavoro che non c'è, al lavoro cercato inutilmente, al lavoro a rischio e precario. Abbiamo il dovere politico e morale di concentrarci su questi problemi", ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in un messaggio inviato al ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, al presidente della federazione maestri del Lavoro d'Italia, ai segretari generali di Cgil, Cisl, Uil e Ugl, e a quanti celebrano la ricorrenza.

Lavoro che non c'è. L'altra faccia della medaglia però è il lavoro nero.

Il quotidiano La Repubblica nel giorno della festa del lavoro vi dedica uno speciale dove ci racconta che sono 3 milioni gli italiani senza contratto.

Muratori, camerieri, braccianti. Ma anche assicuratori, insegnanti, benzinai. Sono solo alcune delle tante facce del lavoro nero in Italia. Circa tre milioni di persone che lavorano senza un contratto, quindi senza giorni di malattie, senza ferie e senza la speranza di una pensione.

Gli ultimi dati disponibili si fermano al 2010, ma la cifra è destinata senz'altro ad aumentare a causa della crisi.

"Se gli italiani non danno vita a forti forme di dissenso è solo perché esiste una ricchezza generata da un'altra economia, quella sommersa". A dirlo è il presidente dell'Eurispes Gian Maria Fara che nel rapporto "L'Italia in nero" ha fatto i conti al sommerso: 540 miliardi di euro, il 35% del Pil, di cui 280 miliardi vengono dal lavoro in nero. Ma chi contribuisce a far crescere le casse di questa economia parallela?

L'identikit non è facile da disegnare: c'è chi come Cristina fa la badante, chi come Luca lavora in pizzeria. Poi Antonella dà ripetizioni dopo aver finito il turno a scuola. Rajhad invece è venuto dal Punjab per fare il bracciante nell'agro pontino. Ma c'è anche Pietro che la mattina indossa la divisa e nei ritagli di tempo fa il muratore o Maurizio dipendente pubblico dalle 8 alle 17 e dopo assicuratore. Persone molto diverse tra loro accomunate dalla stessa necessità di far quadrare i conti. "Anni fa - spiega Fara - avevamo denunciato la sindrome della quarta settimana, poi siamo passati alla terza, ora siamo al giorno per giorno. Arrivare a fine mese è diventato impossibile: per questo dobbiamo uscire dalla logica della divisione tra italiani buoni e italiani cattivi. Ci sono sono solo persone costrette a cedere perché non ce la fanno".

"Ogni volta che non mi fanno lo scontrino mi arrabbio, penso a tutti i soldi che se ne vanno per colpa degli evasori. Ma mi sono ritrovata a essere una di loro". Maura con il suo stipendio da bidella non superava le prime due settimane e così ora, come dice lei, "aiuto qualche famiglia con i servizi di casa". E non è l'unica. Ad avere un doppio lavoro in Italia sono almeno un milione di dipendenti pubblici e complessivamente le "posizioni plurime" sono il 31,6% di tutti i lavoratori in nero. Il 55,7% ha unicamente un reddito fuorilegge, mentre solo il 12,7% è straniera. Più di 370mila immigrati che lavorano soprattutto nell'edilizia e nei campi.

L'agricoltura, con il 24,9% di irregolari, è il settore più nero secondo il rapporto dell'Eurispes, seguita da servizi (13,5%) e industria (6,6%). Ma scomponendo il dato del terziario, con l'eliminazione dei dipendenti pubblici, la percentuale dei lavoratori in nero arriva al 50% nei servizi domestici e si 'ferma' al 30% nel turismo. "Nel bar dove lavoro la metà dei dipendenti non ha contratto. Ma la paga è buona", racconta Marco, cameriere trentenne che deve pagare l'affitto della sua stanza romana. Ma se il nero sembra diffuso, nel mondo dei ristoranti e degli alberghi è il grigio ad avere la meglio. "L'uso abnorme di contratti atipici

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