Assad ha usato armi chimiche?

Homs. (SARKIS KASSARJIAN/AFP/Getty Images)

Torniamo a parlare della situazione della Siria. 
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Giovedì 25 aprile l’amministrazione statunitense di Barack Obama ha mandato una lettera al Congresso relativa all’uso di armi chimiche in Siria, questione di cui si sta parlando molto negli ultimi mesi e affrontata in diverse occasioni anche alle Nazioni Unite: nella lettera, che è stata inizialmente visionata dal New York Times, si sostiene che le agenzie nazionali di intelligence hanno confermato con “un certo grado di sicurezza” che il governo siriano di Bashar al Assad avrebbe usato il gas nervino sarin, in maniera ridotta e circoscritta, negli scontri con i ribelli.
Leggiamo dal sito de La Stampa.

Washington lo ripete da mesi: solo le armi chimiche possono vincere la riluttanza americana a intervenire in Siria. Così, mentre la feroce guerra civile in cui è degenerato lo scontro tra il regime di Damasco e il ribelli vola verso quota 80 mila morti, la retromarcia del Pentagono, che dopo aver minimizzato l’allarme israeliano circa l’uso di gas sarin torna ora sui suoi passi, cambia le carte in tavola e impone un riposizionamento ai giocatori. 

Il premier inglese Cameron, da tempo favorevole ad armare l’opposizione evitando però di rifornire al Qaeda, parla di «prove crescenti» e di una situazione «molto grave». Il viceministro israeliano degli esteri Zeev Elkin alza il tiro e chiede all’occidente di intervenire: «E’ chiaro che se vi fosse la volontà da parte degli Stati Uniti e della comunità internazionale, sarebbe possibile agire militarmente e assumere il controllo degli arsenali chimici siriani, il che metterebbe fine ad ogni preoccupazione». E se l’Europa nicchia ancora, spiegando che l’uso di armi chimiche non è «definitivamente» chiaro ma se fosse verificato sarebbe «totalmente inaccettabile», il segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-moon rinnova il suo appello al presidente Assad perché «permetta di indagare sul presunto uso di armi chimiche nel conflitto in corso» e dia libero accesso al team Onu che «potrebbe essere dispiegato entro 48 ore».

Sebbene oltre due anni di conflitto ci abbiano insegnato che la tensione sale spesso ai livelli di guardia ma poi l’empasse non si sblocca mai, sembra di essere a un bivio. E non soltanto per via del gas sarin (rispetto al quale circolano su internet video terribili ma non verificabili che mostrano feriti con la bava alla bocca bianca, indice di presunto avvelenamento). Certo, le armi chimiche sarebbero la cosiddetta pistola fumante, l’oltrepassamento da parte di Damasco della famigerata linea rossa. E i ribelli, che ieri hanno sollecitato l’Onu a intraprendere “azioni rapide”, ci contano. Ma la situazione sul terreno è più complessa. Ci sono gli jihadisti di al Nusra ormai dichiaratamente in campo con l’opposizione ma pronti a rilanciare in seguito una nuova offensiva contro Israele e l’«empio» occidente. E c’è Assad, che consapevole ormai di non poter vincere la guerra militarmente si affida da un lato alle squadracce di miliziani mercenari (libanesi, iraniani e forse russi) ma dall’altro tenta la via del soft power, nel senso che attraverso messi mandati in avanscoperta negli States sta cercando di persuadere il mondo della minaccia globale di marca qaedista insita nella sua caduta. Alla luce di questo secondo aspetto della strategia di Assad va letta la sua nuova denuncia, secondo cui sarebbe stata l’opposizione a bersagliare Aleppo con armi chimiche importate dalla Turchia.

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