La pazienza di rammendare
Si potrebbero scrivere tante cose su quello che è successo
ieri a a Romano di Lombardia.
Oggi, Dario Di Vico sul Corriere (qui) e Massimo Gramellini su La Stampa (qui) fanno interessanti riflessioni.
Scrive Dario Di Vico che la società vive in una condizione di stress che ha pochi precedenti nella storia recente del Paese, anche perché in questa congiuntura la percezione di solitudine si coniuga con un pericoloso vuoto di autorità.
Un concetto sul quale torna anche Massimo Gramellini, che scrive che le persone più fragili si disperano fino a impazzire perché il potere non li ascolta e quando parla non usa il linguaggio della speranza ma quello della paura.
Ma le ragioni più profonde della disfatta umanitaria in corso non riguardano solo gli imprenditori e non sono neppure economiche, scrive ancora Gramellini. Sono psicologiche. Il senso di umiliazione che prende alla gola chi si vede costretto a ridurre il tenore di vita della propria famiglia. La solitudine di chi non ha più strutture familiari né sociali a cui appoggiare la propria inquietudine.
C'è una distanza crescente tra i diversi piani della società, scrive Di Vico. C'è una rete di rapporti che si sta smagliando e che nessuno sembra avere la forza e la pazienza di rammendare. Tutti preferiscono scucire, invocare lo sciopero, dichiararsi indignati, promettere vendette, alzare la voce, citare dati a vanvera, cercarsi un avversario. In pochi fanno i sarti, dedicano il loro tempo e parte del loro potere per ascoltare, avanzare proposte sensate e soprattutto ricucire i legami che si sono allentati, le solidarietà che sono saltate.
Pochi lavorano per ricostruire quel rispetto reciproco che manca.
Dovremo evitarlo e per cominciare a farlo non è mai troppo tardi. Risanare l’economia di un cimitero non è una soluzione praticabile.
Tocca alla politica, o a chi ne fa le veci,
togliere la buccia ai numeri fino a trovare le persone.
Capirle. Rassicurarle.