La nostra strada per battere le destre
In questi giorni si parla parecchio di modelli, il modello inglese, quello francese. Io non credo che dobbiamo essere alla ricerca di modelli ma dobbiamo continuare a fare il lavoro che abbiamo fatto in queste settimane di campagna elettorale, stare sui territori cioè capire qual è la strada nostra per costruire l’alternativa che serve per battere le destre che qui sono già al governo. Si parla di affinità e divergenze, e, come sempre accade, la tentazione è “assumere” modelli difficilmente replicabili in contesti diversi, seppure ricchi di spunti e conferme.
Il nuovo Fronte popolare in Francia mette insieme forze politiche diverse con un progetto coerente e condiviso. Noi non abbiamo un elemento di preoccupazione contingente, dobbiamo costruire un’alleanza sui per e non solo sui contro. Anche se non si possono applicare modelli di contesti diversi, dalla Francia un dato emerge: uniti si vince, divisi si perde. L’unità va costruita sui bisogni concreti delle persone. Non pongo veti e non intendo subirne. Il tempo dei veti è finito con l’esito delle europee, il PD è rafforzato nel suo ruolo di perno, ma abbiamo l’umiltà di sapere che da soli non bastiamo.
Il programma del Nuovo Fronte Popolare è interessante, ci sono cose che condividiamo come il salario minimo. In quel programma, però, c’è anche altro: su patrimoniale e tassazione dei super profitti bisognerebbe trovare un punto di incontro fra forze che hanno idee diverse. Non lo avevamo nel programma, avevamo il tema della redistribuzione delle ricchezze con anche la lotta ai paradisi fiscali. La questione fiscale l’abbiamo ben presente perché la Costituzione dice che chi ha di più deve contribuire maggiormente al benessere collettivo.
Passando allo scenario internazionale, sulla guerra israelo-palestinese c’è una colpa della comunità internazionale che ha sempre detto ‘due popoli e due Stati’. Anche i palestinesi, come gli israeliani, hanno diritto a vivere in uno Stato in sicurezza. Per questo abbiamo chiesto il riconoscimento dello Stato di Palestina. Quello che serve è un messaggio forte della comunità internazionale. Non possiamo aspettare che Netanyahu sia d’accordo: il suo è il primo governo israeliano che nega la prospettiva di ‘due popoli, due Stati’. Va evitata qualsiasi equazione tra Hamas e popolo palestinese: sarebbe un favore ad Hamas.
Nessun tentennamento sul sostegno alla resistenza ucraina: nel Partito Democratico non ci sono filo-russi. Bisogna chiarire un’ambiguità di fondo: noi abbiamo sempre sostenuto il diritto all’autodifesa di un popolo che è stato ingiustamente invaso dalla Russia di Putin. Oggi staremmo discutendo dei confini europei ridisegnati da Putin con la forza militare se non ci fosse stato anche quel supporto, ma abbiamo sempre detto che non sarebbe bastato se, accanto, non ci fosse stato uno sforzo diplomatico e politico per la pace. Non possiamo aspettare che cada l’ultimo fucile per vedere l’UE fare uno sforzo di isolamento della Russia che può contare sul supporto internazionale di molti paesi, tra cui la Cina. Serve una politica estera comune europea.
A proposito di UE: sui negoziati Gentiloni ha fatto un lavoro straordinario in questi 5 anni. La sua proposta sul nuovo patto di stabilità europeo era molto migliore di quella votata, invece, dal governo italiano. Meloni è stata completamente assente dal negoziato e ha preso atto a testa bassa di un accordo fatto da altri e che reintroduce rigidi parametri di austerità su cui noi ci siamo astenuti.
Per tornare all'Italia, la Rai non è più un servizio pubblico. Il caso è clamoroso: nessuna rete Rai, neppure RaiNews che alle 22 apriva il tg con il Festival delle Città Identitarie di Pomezia, ha informato i telespettatori sui risultati delle elezioni legislative francesi. Il dubbio è legittimo: se avesse vinto Le Pen come tutti fino a dieci giorni fa si aspettavano, avremmo avuto la stessa cosa? Avremmo visto RaiNews che non copriva minimamente il risultato francese?
Il problema è più generale. Noi più che chiamarla Tele Meloni cosa possiamo dire? Così non è più servizio pubblico: hanno occupato militarmente la Rai, hanno sanzionato recentemente una giornalista libera che ha solo denunciato una imposizione ingiusta quando è stato censurato il monologo di Scurati e intanto assumono amici e parenti degli amici. Allora così non è più servizio pubblico, ma chi dovrebbe dimettersi non è la vicedirettrice, è il direttore Petrecca che si dovrebbe dimettere.