Una comunità vitale, un partito da costruire
Prova a spiegarcelo Andrea Romano
A venticinque anni dalla fine della Prima repubblica l’Italia non è ancora riuscita a trovare un’autentica soluzione per la “questione del partito”, per le nuove forme che dovrebbe assumere la politica organizzata dopo la scomparsa dei partiti nati nel secondo dopoguerra. Non si tratta di un problema solo italiano, se guardiamo a quanto è accaduto di recente in Francia (che in poche settimane ha visto nascere – e vincere – un partito del tutto nuovo e deperire fin quasi alla scomparsa partiti nobili e autorevoli) o ancora prima in Grecia, Olanda, Spagna. Ma non c’è dubbio che in Italia la questione si sia posta in forma più radicale, con una lunga ondata di antipolitica che ha modificato in profondità il paesaggio della nostra discussione pubblica e la proliferazione nel corso degli anni di partiti-azienda e partiti-personali che hanno privatizzato il tratto democratico della militanza.
Dieci anni fa il PD nacque proprio per dare una risposta alla crisi della democrazia italiana, unendo le due principali culture politiche repubblicane e aprendosi a tutte le nuove forme di passione civile. Dieci anni dopo, come sta il PD? La complessità – e la difficoltà – di questo momento politico non può farci dimenticare il suo essere una grande distesa vitale di esperienze, militanze e competenze diverse: la più grande comunità politica italiana, l’unica che decide democraticamente e in piena libertà della propria leadership aprendosi al parere di tutti i cittadini, un’ampia rete di amministratori locali, una forza nazionale che in questi anni ha ereditato dalla destra un paese in pieno declino e l’ha spinto verso la ripresa. Un partito che non è di proprietà del segretario né dei suoi oppositori, ma degli iscritti e dei partecipanti alle primarie: due milioni di italiani che solo qualche settimana fa hanno scelto una leadership e che andrebbero rispettati in ogni passaggio, L’identità del PD è qui: nelle cose fatte nel governo locale e nazionale, nella trasformazione riformatrice che ha impresso all’economia e in tanti altri aspetti della nostra vita pubblica, nella vitalità di una comunità politica che si ritrova nei circoli, sulla rete, nelle diverse forme di un’aggregazione fatta della condivisione di idealità e della realizzazione di progetti.
Un’identità ideale e concreta che ha rinnovato in profondità la sinistra italiana, quando in Occidente la sinistra appare debole e in ritirata. Un’identità che chiede con forza un partito nuovo, capace di accoglierla e rappresentarla in tutta la sua ricchezza di espressioni. Perché se è vero che nessuna democrazia può prosperare senza partiti, è ancora più vero che non torneremo più ai partiti del passato: sarebbe una strada impraticabile non solo per la scomparsa dei soggetti collettivi e culturali che animavano quei partiti, ma soprattutto perché una risposta rivolta al passato non avrebbe alcuna efficacia verso la carica distruttiva dell’antipolitica o la crisi di fiducia che attraversa la società italiana. Costruire il Partito Democratico, partendo dalla cultura civile che il PD ha prodotto in questo decennio e intorno all’idea d’Italia che abbiamo saputo testimoniare dal governo del paese, è il compito più urgente della generazione politica che si ritrova oggi a Milano.