Pd e Millennials, un rapporto tutto (o quasi) da ricostruire

Ce ne parla Antonio Ferrante su L'Unità.tv

Uno dei primi elementi che risaltano dall’analisi del voto delle primarie è stata l’elevata età media dei tanti elettori che si sono recati ai gazebo, dato che sembra purtroppo confermare il progressivo avvicinamento delle fasce più basse d’età  verso i populismi, se non, addirittura, verso i movimenti estremisti.
Primo punto per ripartire, quindi, deve essere quello di  tornare a parlare ai ragazzi, immedesimandosi nei loro problemi e soddisfacendo quelle esigenze di formazione, partecipazione e condivisione che permettano di formare classi dirigenti in grado di affrontare ogni sfida in qualunque tempo, dopo aver constatato l’insuccesso dei vari bonus offerti dal governo (che dei ragazzi hanno incoraggiato, come effetto collaterale, l’astuzia, se si pensa ai tanti che li hanno messi in vendita sul web) come anche delle varie campagne social.
Il  tema del rilancio del dialogo tra giovani e Pd è stato oggetto della prima relazione da segretario di Matteo Renzi, che ha annunciato l’ingresso di venti “millennials” in direzione nazionale, oltre che garantito spazi di formazione politica continua: due iniziative che sono importanti sul piano del messaggio ideale ma che, senza un metodo nuovo e in grado di contestualizzare quel messaggio nei territori, rischia di  ottenere gli stessi risultati dell’esperimento di Classedem, nel quale venivano raccontate ai ragazzi le tante cose buone fatte dal governo chiedendo loro di farsene portatori sui territori, dove però le necessità reali e le problematiche concrete dei  “milleeuro” (e per tanti neanche quelli) hanno reso inutile, se non addirittura controproducenti, i buoni propositi di divulgazione.
Se quindi è certamente apprezzabile e innovativo che ai giovani venga attribuita una presenza importante all’interno del più importante organo di decisione del partito, parallelamente avrebbero dovuto essere condivisi con i destinatari, cioè i nostri ragazzi, i criteri con i quali tale scelta è stata effettuata. In questo senso il messaggio di delusione e, quasi, di rassegnazione apparso l’indomani sulla pagina nazionale dei GD sembra confermare un primo stop in questo difficile percorso di riavvicinamento dove occasioni devono precedere gli eventuali posti al sole, soprattutto se  questi ultimi vengono assegnati senza un loro vero coinvolgimento.
Una analoga preoccupazione sorge scorrendo la pagina del sito nazionale dedicata alla prima scuola di formazione della nuova segreteria, intitolata a Pier Paolo Pasolini, poeta degli ultimi, che si terrà a breve a Milano. Si apprende così che i posti disponibili sono appena duecento, con alcune borse di studio assegnate secondo meriti non ben specificati e senza riferimento a criteri di reddito, fatto, quest’ultimo, che mi fa pensare- scusandomi per la presunzione- che Pasolini difficilmente avrebbe acconsentito ad apporre il proprio nome su un istituto con una simile impostazione. Restano nebulosi i parametri di scelta, soprattutto se si pensa ad un partito che conta centinaia di migliaia di iscritti, come anche il ruolo delle federazioni nella diffusione di un’informazione che io per primo- lo confesso- ho appreso solo a selezioni concluse. Dovremmo chiederci quindi cosa avrà pensato uno dei tanti ragazzi che ne ha avuto notizia a cose fatte o che, riuscendo a presentare la domanda, ha ricevuto una mail di rifiuto senza ulteriori spiegazioni, la quale però concludeva “restiamo in contatto, ne faremo altre”. Se al posto loro ci fossi stato non ne sarei stato contento, concetto ribadito assai  bene dai Giovani Democratici che nel loro post hanno espresso sentimenti di resa prima che di rabbia.
Nelle nuove generazioni dobbiamo infondere coraggio, voglia di mettersi in gioco e spiegare loro i nostri sbagli affinchè questi non vengano ripetuti prima che raccontare i nostri successi ed è compito di chi ha la responsabilità di guidarci porre i nostri ragazzi al centro dell’azione di governo andando oltre i bonus del momento e dare loro vere occasioni nel Pd attraverso nuovi modelli di formazione politica che siano inclusivi, fruibili da quanti più giovani possibile e che, partendo dal passato, li proiettino come classe dirigente del futuro e mai più come strumenti per mantenere perennemente in piedi chi gestisce il presente.

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