De Bortoli, Boschi e il linciaggio in seguito ad accuse indimostrate



Per chi crede nello stato di diritto e nei principi custoditi nella nostra Costituzione stringersi attorno a Maria Eena Boschi non è legittimo, è doveroso.

Era già barbarico e paurosamente premoderno chiedere le dimissioni di chicchessia semplicemente perché indagato, in barba ai principi di separazione dei poteri e di presunzione di non colpevolezza – in altri termini, in barba alla nostra Costituzione: sono venuti giù sindaci (da ultimo Ignazio Marino), ministri (da ultima Federica Guidi), e perfino governi in seguito a inchieste poi risoltesi in una bolla di sapone o giù di lì.

Ora siamo giunti a chiedere le dimissioni di un sottosegretario in seguito all’estratto di un libro – nella fattispecie dell’ormai arcinoto estratto di “Poteri Forti (o quasi)” (La Nave di Teseo), a firma di Ferruccio de Bortoli, nel quale questi scrive che nel 2015 Maria Elena Boschi chiese all’allora amministratore delegato di Unicredit “di valutare una possibile acquisizione di Banca Etruria”.

L’accusa, ovviamente, ha fatto riesplodere un caso archiviato mesi fa, e gli antirenziani in servizio permanente effettivo – politici, giornalisti, troll – hanno immediatamente preso per oro colato le parole dell’ex direttore del Corriere della Sera, non avendo altra prova che la credibilità di quest’ultimo.

Non solo, dunque, il virus del “pasolinismo” – io-so-ma-non-ho-le-prove, per l’appunto – ha infettato, dai primi anni ’90 in poi, diverse procure italiane, determinando un’esiziale alterazione della tripartizione dei poteri; ma sembra che suddetto virus abbia definitivamente contagiato anche la mentalità di grandissima parte della società civile e dell’intellighenzia. Se questo metodo – barbarico e inquisitorio, come si diceva – continuerà a incontrare il favore socio-culturale dei media, degli intellettuali e, di conseguenza, dei cittadini, l’onere della prova sarà una volta e per sempre invertito, e assisteremo alla sublimazione di qualunque accusa a verità incontrovertibile – altro che clima da caccia alle streghe, altro che sospetto inteso come l’anticamera della verità: sarà esso stesso la verità.

Tornando alla vicenda, il Movimento Cinque Stelle – come del resto era prevedibile – si è gettato a capofitto nell’ennesima campagna di delegittimazione di Maria Elena Boschi. È curioso, tuttavia, che poggi suddetta campagna sulle parole dell’ex direttore del Corriere della Sera, diventato improvvisamente un professionista credibile e autorevole sebbene sino all’altro ieri fosse – ai loro occhi – uno dei tanti tirapiedi dei potenti: è così Grillo e i suoi considerano qualunque giornalista (a maggior ragione se di successo e “inserito” negli ambienti che contano, nella cosiddetta “casta”, come de Bortoli) non si sia completamente appiattito sulla narrazione grillina.

Al coro di chi chiede le dimissioni di Boschi si è altresì unito Pierluigi Bersani: sarebbe lecito domandargli perché abbia fatto la fatica di fondare un partito nuovo se la linea politica dello stesso si esaurisce nel giustizialismo e nell’antirenzismo militante: bastava iscriversi al blog di Grillo.

È bene ribadire che tutto questo cancan –cavalcato immancabilmente anche dai vari Salvini e Toti – non è stato innescato da una sentenza di condanna passata in giudicato (figurarsi) e nemmeno dall’apertura di un fascicolo, ma dal paragrafo di un libro uscito da qualche giorno. Per chi crede nello stato di diritto e nei principi custoditi nella nostra Costituzione stringersi attorno alla vittima di una barbarie simile non è legittimo, è doveroso.

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