I nuovi italiani
E’ in programmazione in questi giorni nelle sale italiane “Lincoln”,
l’ultimo e bellissimo film di Steven Spielberg.
Una pellicola sicuramente interessante sia dal punto di vista cinematografico che storico ma soprattutto una pellicola che può indurre alcune riflessioni particolarmente attuali in questo periodo di campagna elettorale.
La prima riflessione riguarda la democrazia.
Nel film si vede in modo chiaro come il presidente Lincoln abbia dovuto impegnarsi, appianare divergenze, incontrare tutte le forze politiche per persuadere anche con le argomentazioni più ardue e talvolta con metodi borderline la necessità che tutti i cittadini fossero uguali davanti alla legge indipendentemente dal colore della pelle.
Ciò che oggi sembra naturale e scontato è il risultato della tenacia e ostinazione di un uomo “illuminato” sostenuto dalla forza riformatrice della democrazia.
La democrazia, anche nel lontano 1865, ha dimostrato la propria capacità di passare oltre le divergenze per il bene comune della nazione e di superare l’avidità degli individui. Proprio questi presupposti la rendono l’unica forma di gestione possibile della cosa pubblica, in grado di portare, anche se molte volte con percorsi tortuosi, alla soluzione più “giusta”. La forza del popolo che delega e legittima i propri rappresentanti perché assumano le decisioni più importanti è sempre garanzia di quella libertà necessaria per la vita “felice” e pacifica della comunità.
Per questo motivo è importantissimo stare sempre attenti alle vecchie e nuove forme di demagogia e di populismo che riemergono come “zombie” nei momenti elettorali.
“Sono tutti ladri!”: questo è l’assioma di base. Nel nome di una fantomatica democrazia “diretta”, che alla fine non si capisce mai cosa significhi veramente. Votare via Internet? Pendere le decisioni su Facebook?
Senza l’associazione delle idee, senza l’incontro fruttuoso tra le persone, senza la gestione attenta e ponderata della rappresentanza non si può parlare di democrazia: i populismi portano sempre alla personalizzazione del potere con i rischi che ne derivano.
Anche se le ragioni della disillusione di molti possono essere condivisibili (vedendo come vengono spesi i soldi pubblici e come alcuni soggetti si arricchiscono senza vergogna a discapito di tutto e tutti) è necessario rifuggire il disfattismo e rispondere con nuove proposte che uniscono e che superano le semplificazioni verso soluzioni più complesse ai problemi che diventano sempre più complessi.
La seconda riflessione riguarda invece l’incredibile ripetersi delle solite argomentazioni.
Ai tempi di Lincoln i sudisti rimproveravano al presidente di voler distruggere la loro identità, la loro cultura, la loro economia basata sulla schiavitù. Ovviamente molti sapevano che una situazione simile non avrebbe retto: la libertà e la giustizia alla fine avrebbero comunque prevalso. Ma per poter giustificare la necessità di mantenere lo status quo molti si servivano dell’argomentazione più classica: l’America non era pronta a accogliere 4 milioni di nuovi cittadini con i medesimi diritti, i medesimi bisogni e le medesime aspirazioni dei cittadini bianchi.
Non siamo preparati … non abbiamo spazio … non abbiamo lavoro: sono le stesse argomentazioni che usiamo ancora oggi per giustificare i respingimenti alle nostre frontiere.
Ma poi in realtà scopriamo che il lavoro c’è! E’ il lavoro più umiliante, più faticoso, meno pagato: il lavoro “nascosto” e senza diritti che i nuovi Italiani svolgono nelle nostre campagne, nelle nostre fabbriche, nelle nostre case.
Lincoln fin da subito aveva provato l’assurdità di queste argomentazioni: erano proprio i cittadini bianchi a non poter sostenere un’economia basata sulla schiavitù, non avrebbero mai potuto tenere testa alla concorrenza di un sistema feudale basato sulla disuguaglianza e sulla privazione della libertà.
Soltanto garantendo a tutti i medesimi diritti, le medesime opportunità, una paga decorosa, l’America avrebbe potuto crescere e prosperare in modo sostenibile nel tempo. E cosi è stato.
Oggi la schiavitù non esiste, almeno secondo la legge. Non dimentichiamo però che esistono ancora molti immigrati che vivono nella paura, schiacciati dal bisogno, umiliati dal razzismo e da quella violenza fisica e psicologica che devono subire perché Italiani di serie B.
L’Italia giusta deve diventare la patria anche di questi Italiani di serie B!
Per questo motivo, come previsto nel programma del PD (qui), uno dei primi temi che il nuovo governo dovrà affrontare di concerto con le istituzioni europee è proprio la legge sull’immigrazione. Con lo sguardo rivolto al futuro - come fece Lincoln ben 150 anni fa – dovremo porre le basi per un nuovo paese che integri veramente i “nuovi italiani”, liberi e felici dei propri diritti ma anche consapevoli dei doveri che ne conseguono.
E grazie all’accoglienza che ci contraddistingue potremo veramente costruire il paese più bello del mondo! Per tutti però!
GEPI