Il ritorno di Berlusconi e il ricambio generazionale


Le pagine politiche di questi giorni sono dominate
dal ritorno nell'agone politico di Silvio Berlusconi.

La questione non è solo politica. La questione riguarda anche il più ampio campo del "ricambio generazionale" all'interno delle organizzazioni.

Un'azienda privata, un partito, un'organizzazione no profit etc.. si struttura nel tempo, ovvero si organizza per conseguire degli obiettivi. Gli obiettivi devono andare al di là delle persone. La scelta di Berlusconi di tornare in gioco e di non costruire, aiutare una leadership futura rimanda il problema; non lo risolve.

Una transizione non gestita può portare al fallimento dell'attività. Il tema è critico.

Ad esempio, per il settore privato,  secondo i dati più recenti elaboratori da Sergio Paternostro dell’università di Siena, nei prossimi 10 anni il 40% delle aziende affronterà un ricambio generazionale.

Spiega Paternostro che il 68% degli imprenditori vorrebbe passare la mano al figlio ma otto su dieci giudicano questo passaggio “difficile” o “impossibile”, visto che in media solo il 24% delle imprese sopravvive al fondatore e appena il 14% arriva alla terza generazione.

Scrive Walter Passerini su La Stampa

L’estensione del ricambio sarà impressionante. Secondo l’ultimo studio di Crf Institute Top employers, un’organizzazione internazionale che opera nelle risorse umane, riguarda in media almeno il 75% dei gruppi dirigenti: vuol dire che tre manager su quattro dovranno essere cambiati e sostituiti. E il ricambio, a cascata, scenderà lungo tutta la piramide organizzativa. Si aprirà così il più grande processo di successione aziendale mai registrato, che sconvolgerà i livelli di organico e i ruoli decisionali più importanti del mondo delle imprese. L’Italia sarà uno dei paesi più coinvolti

Per questi fattori che le successioni, i passaggi di consegne anche nei partiti devono essere preparati. Perché i partiti, soprattutto in questo momento storico, devono però coniugare, rinnovamento, competenze e visione del mondo, cose non facili da mettere insieme.

L’analisi della situazione attuale quindi evidenzia che il passaggio generazione quindi è innanzitutto un processo, faticoso e non garantito a priori che stimola e coinvolge temi organizzativi, sociologici, psicologici, storici, economici.

Scrive Irene Tinagli (seguitela sul suo blog):

...Fino a un paio di anni fa si diceva che la colpa era delle giovani leve, che non erano abbastanza critiche, indipendenti, che non avevano il coraggio di sfidare i propri leader, di discutere, di proporre, di lanciare messaggi chiari. Ma negli ultimi anni di giovani indipendenti e determinati abbiamo cominciato a vederne, in entrambi gli schieramenti. Le elezioni amministrative, per esempio, sono state occasioni in cui alcune di queste figure «rinnovatrici», più o meno giovani, hanno saputo mettersi in gioco ed affermarsi con successo. Ciascuno di questi successi avrebbe dovuto lanciare un segnale chiarissimo ai vertici nazionali dei partiti. E invece niente.

Ma se nemmeno dissentire e proporre, se nemmeno costruirsi un profilo autonomo e di valore nelle amministrazioni locali o nelle professioni serve per legittimarsi nelle dinamiche partitiche, cosa devono fare i giovani e i rinnovatori di ogni età per poter cambiare davvero qualcosa?

E’ davvero difficile dare una risposta a questo interrogativo. Ma di fronte alla situazione attuale sembrerebbe che l’unica alternativa per rompere l’arroganza di chi si crede ancora il padrone del pollaio, sia uscire dal recinto e provare a costruire qualcosa di nuovo con quello che il mondo fuori dai vecchi partiti ha da offrire: nuove esigenze, idee e risorse. Un percorso difficile, che richiederà a questi rinnovatori di smettere i panni dei ribelli rompiscatole e di indossare quelli dei leader a tutto tondo, con i rischi e le responsabilità che ciò’ comporta.

Un percorso che potrebbe anche non portare i risultati sperati, ma che almeno darà agli italiani quello che oggi non hanno: una scelta.

DoppiaM

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