Nori Brambilla Pesce, nome di battaglia Sandra
Onorina Brambilla, più conosciuta come Nori Pesce,
che è il cognome di suo marito Giovanni,
è venuta a mancare domenica scorsa.
Una ragazzina solare, sempre sorridente, avrebbe dato meno nell’occhio. Ed era vero: sul 33 furono due poliziotti ad aiutarla a trasportare dieci chili di esplosivo; in porta Ludovica superò un controllo dei marò della San Marco, addestrati in Germania, con addosso due pistole; in piazza Ascoli prese in consegna l’arma che era servita a sparare a un maresciallo delle SS italiane.
Ha passato gli ultimi a girare per le scuola e a raccontare che cosa è stata la Resistenza. In tanti le chiedevano di scrivere le sue memorie. L'ha fatto.
Nel libro ci sono episodi terribili. Nori Pesce li racconta con distacco, freddezza e una semplicità disarmante. L’arresto, in corso Buenos Aires, tradita da un delatore; il gatto a sette code di Werning, detto "l’ucraino", che compare e basta, senza dettagli, nel carcere a Monza; i due pastori tedeschi della "tigre", la donna soldato che girava per il campo di Bolzano armata di pistola e frustino. Ma la parte più bella sono le lettere alla madre: "Mamma cara...", è sempre l’inizio. Fogli fitti, pieni di pietose bugie: sono allegra, e preoccupata solo per te; si lavora tanto, e così il tempo passa in fretta; il mio indirizzo è matricola 6807, blocco E, mandami le scarpe marroni, pazienza se sono nuove; qui l’aria è buona, così buona che abbiamo sempre fame. E per questo, in ogni lettera, Nori chiedeva alla madre del pane: "Mandami sempre pane bianco, in qualsiasi maniera, che è quello che più ci manca".
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"Il libro l’ho scritto solo perché me lo hanno chiesto i giovani".
Non ho rimorsi. Ho un solo rimpianto, ma non voglio parlarne.
Quando cala il sole chiudo le persiane
perché non amo il buio della notte.
Quando cala il sole chiudo le persiane
perché non amo il buio della notte.
DoppiaM