La transumanza
L’ultimo che se n’è andato, Luca Barbareschi, fino all’altro ieri diceva cose terribili su Berlusconi: “ci tratta come sudditi” e “ha trasformato lo Stato in un bordello”, e quando Fini gli chiese di leggere il manifesto dei futuristi si sciolse quasi in lacrime: “E’ l’incarico più grande che mi è stato affidato nella mia vita di spettacolo e politica…”.
Il penultimo futurista che è tornato nel Pdl, Luca Bellotti, lo si sentiva inveire in Transatlantico: “Dipendesse da me manderei a casa Bondi!” oppure “La Russa piuttosto che fare male il coordinatore, faccia almeno il ministro della Difesa!”. Ora torneranno a prendere insieme il caffè alla buvette, e pacche sulle spalle, e bentornato: nella politica italiana farsa e tragedia sempre si mescolano.
Chissà con quali lusinghe Silvio li attrae a sé. Uno come Roberto Rosso lasciò Berlusconi al grido di “siamo camerieri in livrea di chi ci nomina”, e mai definizione fu più esatta. Due mesi dopo torna nel Pdl per occuparsi di Vercelli. Ancora due settimane fa diceva:“Silvio non ha capito la lezione del Nord Africa”.
Paolo Guzzanti uscì nelle librerie con Mignottocrazia il 26 novembre scorso: 174 pagine “feroci” su Forza Gnocca. Poi venne fuori che era a rischio il suo contratto con Il Giornale, e il giorno della fiducia il suo voto fu in bilico fino all’ultimo secondo. Ora va in giro a presentare il libro, ma da neo-responsabile; come Domenico Scilipoti che la sera andò a letto da dipietrista e la mattina si svegliò berlusconiano. E ora regge il telefono quando il presidente chiama, va a cena a palazzo Grazioli; Silvio gli ha regalato una cravatta. E sempre con Giampero Catone si accompagna, che lasciò il Pdl il 23 settembre e vi tornò il 3 dicembre: la sua crisi morale durò appena settanta giorni.
Chissà con quali lusinghe Silvio li attrae a sé. Uno come Roberto Rosso lasciò Berlusconi al grido di “siamo camerieri in livrea di chi ci nomina”, e mai definizione fu più esatta. Due mesi dopo torna nel Pdl per occuparsi di Vercelli. Ancora due settimane fa diceva:“Silvio non ha capito la lezione del Nord Africa”.
In Italia le crisi morali sono di breve durata,
ammoniva Longanesi.
Paolo Guzzanti uscì nelle librerie con Mignottocrazia il 26 novembre scorso: 174 pagine “feroci” su Forza Gnocca. Poi venne fuori che era a rischio il suo contratto con Il Giornale, e il giorno della fiducia il suo voto fu in bilico fino all’ultimo secondo. Ora va in giro a presentare il libro, ma da neo-responsabile; come Domenico Scilipoti che la sera andò a letto da dipietrista e la mattina si svegliò berlusconiano. E ora regge il telefono quando il presidente chiama, va a cena a palazzo Grazioli; Silvio gli ha regalato una cravatta. E sempre con Giampero Catone si accompagna, che lasciò il Pdl il 23 settembre e vi tornò il 3 dicembre: la sua crisi morale durò appena settanta giorni.
Quel che sorprende di questi uomini
è che cambiano idea
con la stessa velocità di un temporale estivo.
Maria Grazia Siliquini a Mirabello stava sul palco e cantava l’inno di Mameli, e ancora il 25 ottobre partecipò a un convegno sulla giustizia con Fabio Granata e il procuratore Caselli, ora è tornata a recitare la parte della pasdaran di Arcore. Silvano Moffa da peone non se lo filava nessuno, ora i giornali lo intervistano ogni giorno, e si pone davanti alla telecamera con la stessa gravità di Aldo Moro, si capisce benissimo che ha aspettato una vita per poter dichiarare: “Siamo una grande area di responsabilità che può dare una svolta al Paese, qualcosa di estramemente serio, un coagulo politico e culturale che si è sedimentato nelle coscienze…”
Forse non moriremo berlusconiani,
ma, come scrisse Sciascia,
l’Italia conoscerà a lungo la coerenza di questi uomini.
Concetto Vecchio, ritagli, repubblica.it