Veltroni: “C’è un rumore che la politica non riesce a sentire: quello dei ghiacciai che si rompono”
di Walter Veltroni
C’è un rumore che la politica non riesce a sentire: quello dei ghiacciai che si rompono per effetto del global warming. Ci sono delle voci che la sinistra ignora: quelle dei più di duecento milioni di sfollati per ragioni ambientali che dal 2008 al 2015 hanno dovuto lasciare la propria casa, la propria terra.
Chi ama la politica e come me la ritiene, ad un tempo, un’altissima forma di missione civile e lo strumento imprescindibile di regolazione della convivenza tra gli umani, non può non guardare con stupore al silenzio che accompagna la spirale di accelerazione in cui la crisi ambientale del pianeta si sta avvitando.
I fenomeni naturali non progrediscono secondo una logica ripetitiva. Anzi, tendono a crescere esponenzialmente. Conoscono accelerazioni brusche, aggravamenti repentini, fenomeni eccezionali e inediti. Basta guardare in rete un filmato della Nasa, trenta secondi, in cui si racconta, in una sorta di time lapse, come sia cambiato il clima della terra dal 1880 al 2015.
È impressionante il mutamento di colori, verso il rosso delle alte temperature, degli ultimi decenni. La crescita è di una velocità incredibile. «Negli ultimi 30 anni ha dichiarato Schmidt, direttore del Goddard Institute for Space Studies della Nasaci siamo mossi in un territorio eccezionale, mai visto negli ultimi mille anni. Non c’è alcun periodo che ha il trend visto nel 20/o secolo, guardando al grafico dell’anomalia della temperatura globale negli ultimi 1.500 anni».
E il giugno di quest’anno, secondo la Noaa (National oceanic and atmospherical administration degli Usa), «segna il 41° giugno consecutivo e il 390° mese consecutivo con temperature almeno nominalmente al di sopra della media del XX secolo».
D’altra parte basterebbe alzare gli occhi e avere memoria per capire che stiamo parlando, evidentemente, della più grande emergenza sistemica che possa esistere. Non cade l’acqua nei campi agricoli, i bacini d’acqua dolce si seccano. Mari e oceani, innalzandosi, coprono terre abitate, l’accumulo di energia nell’atmosfera determina fenomeni repentini, violenti e spaventosi, i rifiuti inquinanti finiscono nel ventre della terra o in quello di pesci avvelenati e avvelenatori per causa della plastica. Questo sta accadendo, sotto i nostri occhi, da anni. E il peggio può ancora venire.
Le conseguenze sociali di questo processo sono già e possono essere ancora di più, nel futuro, devastanti. I problemi dell’ambiente non riguardano, e non sarebbe poco, solo gli alberi o gli animali. Riguardano gli uomini, sempre di più. Secondo il Desertification report del 2014 dell’Unccd, sessanta milioni di persone potrebbero spostarsi dalle aree desertificate dell’Africa subsahariana verso il Nord Africa o l’Europa.
D’altra parte il 44% della comunità umana globale, quasi tre miliardi di anime, vive entro i 150 km dalla costa, ovvero nelle aree geografiche che sono e saranno sempre di più colpite da inondazioni o fenomeni climatici estremi. Viviamo in tempi di Alzheimer di massa. E rimuoviamo quello che ci accade, forse per difesa.
Da Kathrina all’ultimo uragano della Florida i giornalisti della Cnn si sono sforzati di mèstrarci l’impatto dei venti e delle onde sui centri abitati. Ma nelle Filippine o in Bangladesh la Cnn fa fatica a trasmettere le dirette. E forse i nostri figli o nipoti saranno gli ultimi a vedere le isole Fiji, le Solomon Islands, le Maldive, le Seychelles, le isole Marshall che entro questo secolo potrebbero essere sommerse.
Catastrofismo? Lo si dica ai milioni di persone costretti, senza neanche un titolo di rifugiati, a cercare un luogo per vivere e dormire visto che le loro case sono state schiantate dal fango o abbattute dal vento. Per il presidente Usa l’effetto serra è stata un truffa contro l’economia degli Usa o un complotto dei cinesi. E così Trump ha cancellato con un tratto di penna tutte le decisioni assunte dall’amministrazione Obama per rispettare l’impegno di una riduzione fino al 28% delle emissioni rispetto ai livelli del 2005.
«L’America ricomincia ad essere vincente con gas e petrolio» ha detto Trump esaltando quelle energie fossili che sono alla base dei rischi per l’umanità. A chi sostiene che non esista differenza tra destra e sinistra si dovrebbe portare proprio questo esempio. Cosa conta di più: l’interesse a breve di singoli settori di un singolo paese o il destino della collettività?
Oggi la sinistra non può dirsi tale se non è ambientalista. Quando nacque il Pd io mi permisi di dire che sarebbe stato il più grande partito ecologista italiano. Non lo è stato. E, si deve sapere, la riconversione ambientale dell’economia è uno dei possibili traini di una ripresa economica e produttiva. Lo furono le auto nel dopoguerra poi le comunicazioni. Oggi può esserlo riconvertire tutto secondo parametri di compatibilità ambientale.
Ci sono già tante esperienze imprenditoriali, associative, amministrative che lo dimostrano. Bisogna cambiare verbo all’ambientalismo. O almeno aggiungerne uno a quello più tradizionale, difendere. L’ambientalismo infatti è promozione. È sviluppo, è ricchezza, è edificazione di modelli di crescita più equi e umani. E politica per la pace e per l’inclusione sociale e civile. Tutto ciò che, così mi è stato insegnato, dovrebbe significare quella parola che a me pare sempre più bella: sinistra.