Il nostro orgoglio contro il loro pregiudizio. A proposito di certe polemiche

Matteo Richetti per l'Unità.tv

Se potessi raggiungere uno ad uno, ogni singolo militante, iscritto o elettore del Pd, la parola che utilizzerei maggiormente è: “orgoglio“.
La userei per rispondere ad un quesito che mi viene posto ormai quotidianamente nei messaggi di tanti nostri attivisti. “Che sta succedendo? Dove stiamo andando? Che progetto abbiamo? Perché impegnarci ancora? Dove ci portano queste divisioni?”. Sono le inquietudini più ricorrenti.
Ad ognuno di questi io vorrei rispondere che se facciamo lo sforzo di guardare alla realtà, senza i filtri degli abbondanti retroscenismi quotidiani, è possibile vedere nitidamente il ruolo del Pd e il senso del loro impegno e del loro sostegno.
I provvedimenti dei governi Renzi e Gentiloni, stanno rilasciando i loro effetti e la responsabilità che il Pd si è assunto di assicurare governo e riforme al Paese inizia a farsi sentire. Le stime di crescita sono costantemente aggiornate al rialzo, la spending review ha portato quest’anno a circa 30 miliardi di tagli alla spesa, l’Istat certifica che gli “80 euro” sono una misura che ha ridotto le disuguaglianze, l’indice della fiducia di famiglie e imprese è ai massimi post crisi.
Insomma, se togliamo di mezzo gufi, rosiconi, toni trionfali e catastrofismi, rimane un Paese che abbiamo preso per mano con tutti gli indicatori negativi e riconsegniamo in ripresa. Ce n’è a sufficienza per essere orgogliosi di un Partito che dimostra che non è con i populismi che si migliorano le condizioni di chi sta peggio, ma con riforme serie e durature.
Abbiamo ereditato condizioni di immobilismo in molti settori del Paese (non solo quelli economici e sociali, anche quelli dei diritti e delle libertà) e lo abbiamo sbloccato in una legislatura dalle condizioni impossibili. Ciò che era rimasto slogan nella stagione del centrosinistra che tutti abbiamo sostenuto (pagare meno, pagare tutti, Pacs, Dico, canone Rai, caporalato, dimissioni in bianco, riduzione tasse) è divenuto, con l’impegno di tutti, un fruttuoso programma di crescita. Il tutto riducendo di oltre un punto (dal 43,6% del 2013 al 42,3% del 2016) la pressione fiscale. 
Perché tutto questo non produce un sentimento di sana e virtuosa rivendicazione, una risposta allo smarrimento di tanti nostri militanti? 
Perché non risulta semplice è logico rispondere ad alcuni ex dirigenti del Pd che hanno lasciato la nostra comunità con accuse volgari e superficiali (riguardo il nostro non essere di sinistra, non guardare agli ultimi, non sostenere il lavoro) che ciò che chiedono è esattamente ciò che producono le nostre politiche e che si dovrebbe pensare con rispetto a coloro che con le nostre riforme hanno trovato un lavoro che non avevano, un aiuto che mancava, una risposta che non arrivava? 
Si chiama pregiudizio. Anche se fai cose importanti non te le riconosco perché la tua estraneità, la mia ostilità a te, viene prima. Tutto qui. 
E l’ostilità è contagiosa, il rancore compatta, la contrarietà unisce fino al blocco.
Tutti che invocano il cambiamento, tutti che bloccano il cambiamento. Perché abbiamo commesso un clamoroso errore, un imperdonabile sgarbo: non abbiamo chiesto permesso. Prima di fare ciò che troppi, da troppo tempo, aspettavano. 

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