Avanti insieme!


Cosa si aspetta chi ha votato per il nuovo-vecchio segretario? Mario Lavia prova a speigarlo sull'Unità.tv

Da molte ore – un evento! – nel Pd regna la pace. Il bello delle primarie è che danno un risultato chiaro, al quale tutti non possono che attenersi. Senza piagnucolare come si fa quando ci sono le elezioni col proporzionale – ho vinto io, no ho vinto io – e non si capisce niente.
Qui, al netto di piccole contestazioni, è assodato che ha vinto molto bene Matteo Renzi, mentre Andrea Orlando e Michele Emiliano si sono ritagliati anche formalmente uno spazio non esiguo (il 20% il ministro, il 10% il governatore) tale da consentirgli un peso ai vari livelli. (Qui l’analisi di Fabrizio Rondolino).
E ora che succede? Cerchiamo di analizzare i primi segni del post-primarie e  avanzare – non richiesti – alcuni spunti per il dopo, visto che il segretario ha parlato di “nuovo inizio” e di “un foglio bianco” tutto da scrivere.
Renzi ha avuto quella rilegittimazione che cercava. È dunque più forte. Ma dalle parole da lui pronunciate ieri sera si intuisce che lui per primo sa di non essere il padrone del Pd.
E, nel “foglio bianco” da lui evocato per dire che si apre una pagina nuova, dovrebbe scrivere, a mo’ di premessa: “Non sono il capo del Giglio magico ma il leader di tutto il partito“. Il capitano di una squadra che, per fortuna sua e del Pd, in questi anni è andata allargandosi riuscendo a delineare una classe dirigente di governo nella quale sono confluite intelligenze e esperienze diverse e plurali.
Renzi deve sentirsi leader e garante del partito centrale, del partito dei territori e naturalmente del Pd “governativo”. La sua squadra comprende gli amici di sempre e quelli più recenti: e anzi farebbe bene a cercarne sempre di nuovi, andandoseli a cercare in mondi che finora non ha coltivato.
Due esempi. Il mondo della cultura e il mondo cattolico. Perché il segretario rilegittimato non apre due grandi “cantieri” di lavoro e di elaborazione, magari coinvolgendo grandi personalità del Pd – i nomi li potete immaginare – finora tenute fuori in nome di una malintesa ideologia della rottamazione?
Sul “foglio bianco” Renzi dovrebbe dedicare spazio alla esigenza di presentare un programma economico di governo concreto, credibile, a media scadenza. Tommaso Nannicini è al lavoro, bene. Ma il programma, se non vuole essere l’ennesimo documento che nessuno legge, deve essere costruito nel rapporto con le forze economiche del Paese.
Poi bisognerebbe seriamente aprire il discorso sulle strutture territoriali del Pd, sul senso da dare ai circoli: un partito che riesce a organizzare una macchina mostruosa come quella delle primarie è troppo poco curata. E sulla comunicazione – questione che meriterebbe ben altro spazio – a partire dalla presenza sulla Rete e da una riflessione impegnata sul giornale L’Unità. Serve una riflessione organica, non più improvvisazione.
Dalle prime indiscrezioni, Renzi sembra orientato a rinnovare il gruppo dirigente centrale. Innanzi tutto, deve convincersi che non si tratta di un orpello burocratico e démodé. Se lo deve appuntare nel “foglio bianco”: un partito senza un “centro” che lo guidi, che discuta, che decida, che condivida le responsabilità, prima o poi fallisce. L’ingresso nella squadra centrale di gente come Teresa Bellanova, Matteo Richetti, Matteo Ricci, oltre a a Maurizio Martina, cioè tutte persone di culture politiche differenti, è un buon segno in questa direzione. E la faccia discutere, la Direzione, magari concedendo agli oratori qualcosa di più di cinque minuti…
Sul “foglio bianco”, il segretario deve mettere bene a fuoco il problema del rapporto con il governo. Il Pd fa bene a svolgere un’azione di stimolo – e anche di critica, quando è il caso – sul governo Gentiloni. L’importante è che qualunque passaggio politico venga deciso insieme al presidente del Consiglio e che più in generale, Pd e governo non parlino due lingue diverse: nessuno capirebbe. Ricordarsi sempre: la squadra è una, non due.
Non è affatto detto che l’esito delle primarie porti alla crisi di governo e alle elezioni anticipate. Anzi. A Renzi potrebbe far comodo un po’ di tempo per rafforzare il rapporto suo e del Pd con la società italiana in vista – comunque – di elezioni nella prossima primavera.
Oltre tutto, come ha opportunamente ammonito Sergio Mattarella, ci vuole una nuova legge elettorale. È probabile che un Parlamento che non ha nessuna intenzione di andare a casa (a partire dai grillini, altro che storie) la voglia tirare in lungo, per cui l’ipotesi più probabile è che la legislatura continuerà fino a scadenza naturale.
Sul “foglio bianco”, il leader del Pd dovrebbe scrivere a caratteri cubitali: “Non apriamo un assurdo dibattito se allearsi con Berlusconi o con la sinistra radicale“. E accanto, sempre in stampatello grande: “Il Pd deve rafforzare se stesso, riparlare al profondo della società italiana e puntare ad essere inclusivo così da poter vincere le elezioni”. Vuol dire tornare alla grande vocazione maggioritaria, sì: il Pd nacque per questo e per questo ha senso che viva.
Ma come fa a vincere da solo? Ecco, sul “foglio bianco” Renzi dovrebbe scrivere “NO al ritorno al proporzionale” preludio dell’ingovernabilità. Dopodiché si cerchi l’accordo su un meccanismo che porti ad una razionalizzazione di un sistema politico ormai slabbrato e ad un risultato elettorale certo.
Sul “foglio bianco”, infine, Renzi dovrebbe scrivere alcune note personali. Tipo: “Voglio ascoltare tutti”. Oppure: “Devo essere sì combattivo ma non arrogante”. “Devo essere rassicurante perché sono il leader di una forza democratica di governo”. Deve forzare il suo carattere? Può essere: i grandi leader politici maturano. Ed è in definitiva questa la vera prova per il nuovo-vecchio segretario.

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