Alle porte del cambiamento in Iran?

Venerdì sembra essere iniziata un'era nuova nella storia dell'Iran. 

L'elezione di Hassan Rohani, e prima di essa la sua candidatura, hanno acceso la speranza di cambiamento in un paese che aveva rinunciato ad immaginare un futuro diverso da molto tempo. 

Era difficile immaginarlo, quando l'anno scorso mi trovai a passare qualche settimana in quel paese. I dialoghi con le persone che ebbi modo di incontrare lasciavano trasparire una rassegnazione evidente per la situazione politica, per l'egemonia del clero in ogni ramo della vita pubblica. Quando colsi l'occasione di entrare in una moschea, nel giorno in cui si tenevano le elezioni per il Parlamento, vidi lunghe file che mi incuriosirono. Provai ad avvicinarmi e vidi Imam discutere con gli uomini in fila. 

Capii che erano file di uomini dirette a seggi elettorali. E capii cosa volevano dire i miei amici quando mi spiegavano quanto fosse inutile votare. Il voto era controllato ad ogni livello. Gli uomini politici contrari alla politica dell'Ayatollah non potevano candidarsi alle elezioni. In questa totale assenza di opposizione la scelta rimaneva soltanto tra posizioni più o meno estremistre, che non lasciavano presagire nessun reale cambiamento. 

Per questo, mi sono chiesto quanto fossero reali le immagini provenienti da quella parte del mondo. Ho chiesto ad un amico Iraniano, per capire qualcosa che non vivesse i filtri dei canali di informazione convenzionali. 

Ed ho avuto la conferma che l'elezione di Rohani è riuscita nell'azione quasi insperata di far tornare alle urne molti disullusi. Rohani, pur appartente al clero, è considerato un conservatore pragmatico, ma è stato capace di riunire intorno a se tutta l'ala riformista. Nei suoi discorsi ha  però parlato di riforme, promettendo, tra le altre cose, di liberare prigionieri politici e giornalisti incarcerati e di garantire i diritti civili.  Ed a cercato di dare segni di apertura in politica estera, nei confronti degli Stati Uniti, denunciando l'isolamento dell'Iran dal resto del mondo causate dagli atteggimenti di Ahmadinejad.

 

Non si può certamente di un rovesciamento della situazione politica, ma di una più graduale distensione,  che si allontana dalle modalità delle rivoluzioni arabe conosciute negli ultimi anni.

E' un segnale di fiducia che si configura nell'atteggiamento del popolo Iraniano, che stanco della violenza degli ultimi trentanni, delle guerre affrontate, spinge verso un cambiamento che non porti ad un ulteriore spargimento di sangue. 

Come mi raccontava il mio amico, con estrema fiducia, è soltanto un inizio. Ma fa ben sperare.

 Mao

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