La politica estera del Partito Democratico
C'è un argomento in questa breve campagna elettorale invernale di cui non si discute, e che fa fatica a trovare i titoli dei principali quotidiani.
La politica estera.
Di primavere arabe, della guerra in Mali, delle politiche future dell'amministrazione Obama (il Presidente ieri ha tenuto il celebre discorso sullo Stato dell'Unione) non se ne parla.
Abbiamo provato a farlo dalle pagine di questo blog grazie al contributo fornitoci dalla rivista Internazionale.
Unica eccezione il Partito Democratico e il suo segretario Pierluigi Bersani. Qui vi avevamo raccontato il viaggio successivo alla vittoria alle primarie di Bersani in Libia. Bersani si recò a Tripoli, per una serie di incontri con i principali attori della scena politica del dopo Gheddafi. Il leader Pd incontrò una rappresentanza di parlamentari donne per capire anche la situazione economica post-rivoluzione in Libia.
Quest'oggi vogliamo segnalarvi l'intervista ad Affaritaliani.it, di Lapo Pistelli, responsabile esteri del Pd che analizza la situazione in Mali e spiega quale sarà l'agenda internazionale del Pd se dovesse vincere le elezioni.
Onorevole Pistelli, le truppe francesi hanno conquistato le ultime cittadine in mano ai jihadisti nel Mali del nord, possiamo dire che la guerra è finita o stiamo assistendo solo ad una ritirata strategica dei movimenti legati ad Al-Qaeda?
"L'iniziativa francese è servita a bloccare un itinerario di conquista fisica di città e di avvicinamento alla capitale, Bamako. Da questo punto di vista la missione è riuscita. Tutt'altra cosa è la disarticolazione della galassia terroristica e criminale che è la vera emergenza. L'impegno dell'Ecowas (Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale, ndr) e dei Paesi occidentali che hanno interessi nella zona continuerà per un periodo molto più lungo".
L'Europa ha agito in maniera disunita in Mali. La Francia è andata avanti da sola, alcuni Stati l'hanno seguita, altri no. L'Italia ha prima promesso mezzi militari e supporto logistico, poi ha fatto un passo indietro. C'è stata una mancanza di coesione nel Vecchio Continente?
"Per ragioni storiche evidenti la Francia è sempre stata più presente in Africa Occidentale. In Europa le cose sono andate meglio di altre volte. Il Consiglio Affari Generali ha avuto una posizione unitaria sulla vicenda, anche se non tutti si sono offerti di collaborare. Inoltre con la nomina di Romano Prodi a Inviato speciale dell'Onu per il Sahel anche la Nazioni Unite hanno compreso che non basta una semplice iniziativa di sicurezza, ma serve la costruzione di un meccanismo diplomatico regionale e di un piano di sviluppo economico".
Lapo Pistelli, responsabile Esteri del Pd nazionale |
E l'Italia?
"Credo che il nostro Presidente del Consiglio abbia sbagliato ad affermare che sono stati i partiti a non volere che l'Italia appoggiasse logisticamente Parigi. Noi eravamo pronti. Abbiamo votato un atto ad hoc in Parlamento. Ha invece avuto un problema all'interno al suo governo e con il Pdl. Era giusto che precisasse queste differenze".
Se i sondaggi saranno confermati nelle urne il Pd sarà il partito di maggioranza nel nuovo governo. Come si concretizzerà la vostra politica riguardo al problema del fondamentalismo islamico nella zona del Sahel?
"Ci sono due strade parallele. Una è il lavoro di intelligence per reperire informazioni sul terreno: in questo l'Italia ha delle competenze di tutto rispetto. L'altra è l'azione di contrasto al fondamentalismo. La concessione di spazi ad un network terrorista è un elemento di forte destabilizzazione politica per i Paesi a noi vicini, come la Tunisia o la Libia. Non ci possiamo permettere che l'emergenza Sahel possa sabotare le transizioni arabe".
Parliamo dell'agenda estera del Pd. Come pensate di porvi rispetto al gigante Cina?
"Siamo eredi di una tradizione che risale all'Ulivo, a Romano Prodi, e che vede la Cina non come una minaccia, ma come una enorme opportunità economica. E c'è un dato di fatto: non si può ignorare la seconda potenza del pianeta. Con la Cina e, in generale, con le potenze asiatiche, bisogna porsi in modo non timoroso, come già fa la nostra economia e la nostra cultura. Ma in tutto questo ci deve anche essere una dimensione europea. Spesso i rapporti economici ricadono nelle competenze comunitarie, soprattutto il commercio. La nostra prospettiva, come Paese, è quella di giocare nel mondo dall'interno dell'Ue".
Quindi più Europa?
"Certo. Più Europa politica soprattutto. L'Ue negli ultimi anni è stata vista dai cittadini come uno spazio sempre più algido e tecnocratico e per questa ragione è stata contestata. Un potere politico che incide nella vita quotidiana delle persone e che non risponde ad una legittimazione democratica è di sicuro ostico da digerire".
La vittoria di Hollande in Francia e le prossime elezioni in Italia e in Germania potrebbero cambiare le cose?
"L'Europa è vista a destra e a sinistra in modi diversi. L'Ue per dieci anni è stata governata da esecutivi di centrodestra che hanno scaricato su Bruxelles il ruolo di poliziotto cattivo che impone tagli e riforme dolorose. I progressisti invece guardano a questa dimensione in modo diverso. Per noi l'Europa sono gli Stati Uniti d'Europa. Dobbiamo lavorare per una legittimazione democratica massima delle decisioni assunte a Bruxelles. E al necessario rigore, che serve per fidarsi l'uno dell'altro, serve che l'Europa punti sulla crescita. Il cambiamento degli equilibri in tre Paesi che da soli rappresentano 200 milioni di cittadini e il 60% del Pil dell'Eurozona può fare una certa differenza".
Ipotizziamo che il Pd vinca le elezioni. Il primo viaggio di Bersani da premier dove sarebbe?
"Difficile dirlo. E' certo che dobbiamo essere presenti in quei luoghi dove si determina il destino del nostro Paese: quindi in Europa e nel Mediterraneo. Ma anche nei luoghi dove da tanto tempo manchiamo, quindi l'Asia e l'America Latina".
DoppiaM