Cambio di paradigma: la lezione di Obama (e un messaggio all'Europa)


La Camera degli Stati Uniti ha approvato l’accordo sul fiscal cliff, il cosiddetto baratro fiscale,dopo il voto favorevole espresso il primo gennaio dal Senato.

Il voto è avvenuto quando negli Stati Uniti erano le 23 di martedì e in Italia erano le 5 del mattino di mercoledì. Hanno votato a favore dell’accordo 257 deputati, mentre hanno votato contro in 167. Hanno votato a favore 172 democratici e 85 repubblicani, hanno votato contro 151 repubblicani e 16 democratici.

(Qui trovate che cos’è il fiscal cliff, spiegato bene)

La vittoria di Obama nelle trattative sul fiscal cliff dimostra che una politica economica di sinistra può essere in questa fase la speranza per uscire dalla spirale debito-austerity-disoccupazione. Gli Usa hanno lanciato un messaggio importante anche per l’Europa, dove l'economia è mantenuta in uno stato di catalessi: equità e crescita devono venire prima del rigore.

Ce lo racconta quest'oggi Federico Rampini su Repubblica.

«Grazie al voto di democratici e repubblicani firmerò una legge che aumenta le tasse sul 2% degli americani più ricchi».

Un applauso globale delle Borse ha salutato le parole di Barack Obama. È la fine del pensiero unico. La vittoria di Obama con il varo delle della sua manovra fiscale redistributiva seppellisce un dogma che ha dominato per decenni: l'idea che la ricetta del benessere fosse «meno Stato, meno tasse, meno regole». Il disastro del neoliberismo consumato con la grande crisi del 2008 giunge al suo epilogo più naturale: un cambio di paradigma. La vittoria del presidente piace ai mercati che si piegano al primato della politica, vedono negli Stati Uniti un leader con una strategia chiara, a sostegno della crescita. Obama infatti aggiunge che la sua manovra fiscale “protegge lavoratori e ceto medio da una stangata fiscale generalizzata che avrebbe avuto effetti recessivi”.

La reazione positiva dei mercati nel mondo intero non è solo un riflesso da “scampato pericolo”. È il riconoscimento che una politica economica di sinistra può essere in questa fase la speranza per uscire dalla spirale debito-austerity-disoccupazione, che genera ulteriore impoverimento, e finisce per aggravare il peso degli stessi debiti pubblici.

C’è un messaggio importante per l’Europa. Obama fa bene anche a noi. Nel senso più diretto e immediato, la ventata di fiducia che soffia dall’altra sponda dell’Atlantico spinge ancora più giù lo spread, riduce il costo del rifinanziamento dei debiti italiani e spagnoli. Inoltre la vittoria del presidente americano impone dei paragoni. La politica del rigore feroce applicata a Roma, Madrid, Atene e Lisbona, mantiene l’eurozona in uno stato di catalessi. Il continente dell’austerity è il buco nero della crescita mondiale. Altre terapie danno risultati diversi, e sarà difficile continuare a ignorare questo raffronto.

Obama crede, e dimostra nei fatti, che equità e crescita devono venire prima del rigore.

Questo è il senso della manovra varata in extremis dal Congresso, evitando il “precipizio fiscale” del 2013. Se c’è una politica dei “due tempi”, l’ordine è quello indicato da Washington. Prima bisogna colpire le aree di opulenza e di privilegio, prima bisogna invertire la tendenza alla dilatazione delle diseguaglianze sociali. È questo il senso del voto nella notte di Capodanno al Senato, ieri alla Camera. I contribuenti americani che hanno la fortuna di guadagnare tra il mezzo milione e il milione annuo, dovranno fare uno sforzo aggiuntivo di 15.000 dollari solo per le tasse sul reddito. Quelli oltre il milione pagheranno 170.000 dollari di tasse in più. Si aggiunge il rincaro del prelievo sulle rendite finanziarie (dividendi e capital gain) e il rialzo al 40% della tassa di successione per le eredità oltre i 5 milioni. È una manovra che rassicura i mercati perché è ispirata a una lucida strategia. La crescita riparte solo se c’è potere d’acquisto ai livelli più bassi, tra i lavoratori e nel ceto medio. Redistribuire, non significa solo riparare alle ingiustizie di un capitalismo oligarchico, ma anche diffondere potere d’acquisto e capacità di consumo dove ce n’è bisogno.

È così che l’economia reale può tornare a generare reddito e lavoro. È una lezione antica, fu uno dei capisaldi di quelle politiche keynesiane che contribuirono a guarire l’Occidente dalla Grande Depressione degli anni Trenta. Il capitalismo salvato da se stesso, guarito dai propri impulsi autodistruttivi con l’intervento di una politica decisionista: funzionò con Franklin Roosevelt, ci riprova Obama.

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DoppiaM

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