Pietà l'è morta
C’è stato un tempo in cui eravamo intrisi di buonismo gelatinoso e il «politicamente corretto» invadeva il discorso pubblico con il suo codazzo di espressioni ridicole.
Ora quel tempo è passato e a dominare la scena è il cinismo dei gretti contrabbandato per sincerità.
Molti pensano che il manifestante No Tav caduto dal traliccio se lo sia meritato. Non solo lo pensano, lo dicono al bar e lo scrivono sul web.
Ma quando lo stesso concetto esonda dal cicaleccio privato e diventa la domanda del sondaggio di un giornale (nella circostanza «Libero»), o quando un altro quotidiano (nella circostanza «Il Giornale») definisce a tutta pagina «cretinetti» un tizio che sta in coma all’ospedale coi polmoni arrostiti, significa che è in atto un salto qualitativo.
Come se la rinuncia al filtro della sensibilità - per la smania di interpretare il pensiero comune al livello più basso - avesse arrostito qualcosa anche dentro di noi.
Non ho alcuna simpatia per i violenti, i fanatici e i provocatori che hanno rubato la scena al popolo pacifico dei No Tav.
Ma di fronte a un essere umano che lotta contro la morte e al dolore della sua famiglia, il registro della pietà continua a sembrarmi preferibile a quello dello sberleffo.
Capisco che i toni forti e le battute grossolane soddisfino il bisogno di rassicurazione che agita le menti in questi tempi confusi. Ma è una gratificazione provvisoria e ingannevole, che si lascia dietro un senso di sgomento, foriero di nuove paure.
La decadenza delle parole anticipa sempre
quella della civiltà che ne abusa.
quella della civiltà che ne abusa.
Massimo Gramellini, Buongiorno, La Stampa, oggi