Davanti a queste situazioni, tu che fai?

Questa storia dei respingimenti degli extracomunitari è uno dei servizi più crudeli che svolgiamo. E da molti mesi si registrano casi di "ammutinamento" nel senso che molti pattugliatori, che dovevano salpare dai porti liguri o toscani per darci il cambio, non partono proprio. I nostri colleghi, giustamente, si rifiutano di svolgere questo servizio "infame" che non ci fa dormire la notte. Ma per non salpare ci vuole un motivo plausibile e quindi spesso il comandante o qualche ufficiale indispensabile si "ammalano". Oppure sull'imbarcazione si verifica un "problema tecnico"".

Anche in mare si trovano delle scorciatoie per non eseguire i "respingimenti". "Questo, come detto, è un servizio infame, ed allora ognuno di noi si assume delle responsabilità, dei rischi. Per cui se possiamo appigliarci a qualcosa lo facciamo, trasferendo a bordo gli extracomunitari che incontriamo in mare, per motivi di sicurezza e soprattutto per motivi sanitari. Ma anche questo lavoro non è facile perché molti dei clandestini sono disposti a tutto, hanno paura che li riportiamo in Libia ed allora minacciano di uccidersi davanti a noi. Anche donne con in braccio i loro bambini, che ci pregano di salvarli. Ci dicono che sono pronte a lasciarsi annegare insieme ai figli.

Davanti a queste situazioni, cosa fai? Io sono un militare, ma soprattutto un uomo, un padre. E a costo di rischiare provvedimenti disciplinari, non lo farò mai più. Un giorno o l'altro dovrò rendere conto a qualcuno ed io voglio avere la coscienza pulita.


La testimonianza di uno degli ufficiali impegnato nei pattugliamenti congiunti Italia - Libia, al centro della cronaca di questi giorni. Una testimonianza tutta da leggere, pubblicata oggi da Repubblica.

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