La destra sconfitta dalla propria arroganza
Non è la prima sconfitta di Giorgia Meloni e non sarà neanche l’ultima. Questo ci dice l'ennesima fumata nera nell’ottava votazione per eleggere un giudice della Consulta.
Tutti sanno che per garantire il funzionamento della Corte è necessario che maggioranza e opposizione si parlino, è sempre stato così, sempre i giudici costituzionali sono stati eletti con maggioranze ampie, grazie al confronto paziente e leale fra tutte le forze politiche. Invece noi lunedì abbiamo trovato un muro. L’impressione è che volessero andare avanti a prescindere. Ancora prima del merito, della scelta del candidato – il fedelissimo di Meloni Francesco Marini, estensore del ddl sul premierato che si sarebbe trovato a giudicare, se eletto – si tratta di metodo. Non ci hanno consentito di entrare nel merito della scelta perché è innanzitutto mancato il metodo: ci è stata negata la discussione, l’Aventino l’hanno fatto loro. Ed è un problema serio se, in un passaggio cruciale come questo, loro non abbiano ritenuto doveroso aprire un canale con la prima forza d’opposizione.
È stata battuta l’idea proprietaria che questa destra ha delle massime istituzioni della Repubblica. Sono assetati di potere. La compattezza delle opposizioni li ha fermati, ma non cancella la gravità del tentativo. Appena abbiamo saputo che la destra meditava il colpo di mano ci siamo sentiti, tutti e ci siamo messi d’accordo per fermarli.
Meloni, pur sapendo di non avere i numeri, è andata dritta a rischio di schiantarsi per arroganza e per mancanza di senso delle istituzioni. Speriamo gli serva da lezione, che capiscano finalmente che sulle massime garanzie costituzionali non si può giocare. Mi auguro che il modello non sia quello di Trump: se così fosse, troveranno le opposizioni unite a sbarrargli il passo.