Per un PD popolare e non populista

Ho speso tutta la mia vita politica per riunire le culture del riformismo. Il PD va cambiato, dinamizzato, proiettato, ma scioglierlo sarebbe come ripudiare la mia vita, una specie di suicidio, e non ho ancora una volontà suicida. Ma il cambiamento deve essere radicale perché i rapporti con il Paese si sono ristretti molto, vanno ricostituiti. 

Qui bisogna ricominciare a parlare con la gente delle cose che si discutono a tavola, quindici o venti argomenti: dagli adolescenti alla droga, al lavoro, alla salute, alla ricerca. Ogni settimana venti persone ma non solo del PD, anche esperti, ne discutono in rete con decine di migliaia di cittadini. Al sabato il segretario dem o chi per lui va di presenza in una città e ne fa una sintesi, a Milano se si dibatte di finanza, a Padova se di volontari. Dopo si fa il congresso sui nomi per la guida del PD. È una utopia? Sì, ma questo si fa se si vuole rifare un partito. Prima di eleggere un segretario bisogna comporre una linea politica

Il PD è l’unico partito. Però in Italia la crisi dei partiti tradizionali è forte, bisogna ricostruire il legame di politica comune che vada in profondità, mettendo insieme i diversi riformismi con un programma riformista. E poi ci vuole una legge elettorale che non induca in tentazione coloro che detengono il potere. Io sono per il doppio turno alla francese, che può ricomporre l’Italia. È una posizione isolata anche nel PD, ma mettendo insieme nella seconda votazione coloro che sono omogenei, si può creare una maggioranza che duri cinque anni. 

Se Enrico avesse avuto più tempo sarebbe stato convincente. Io in un mese non ce l’avrei fatta. Ci sono diversi modi di comunicare, i sentimenti mediati fanno più fatica ad arrivare, ma poi arrivano.

Romano Prodi, ai giovani della Scuola di politiche, creata sette anni fa da Enrico Letta, a Cesenatico

Post popolari in questo blog

TARI, i conti non tornano

Va bene così?

Bugie dalle gambe corte