Vaccini Covid: la disfatta delle sette Leghe

Ieri la Gran Bretagna ha sfondato una media di 750mila vaccini al giorno, un balzo rispetto alla settimana prima di oltre 240mila fiale al giorno. L’Italia arranca a meno di un terzo delle somministrazioni, la macchina annaspa, sia pure con situazioni diverse tra Regione e Regione, tra virtuosi e ritardatari, e gli approvvigionamenti sono una rincorsa con la quale si arriva sempre con il fiato corto.

Sono queste le criticità che hanno spinto Mario Draghi a convocare in mattinata i vertici di quella architettura che nelle sue intenzioni dovrebbero dare una spinta decisiva alla macchina italiana. Due ore di incontro con il commissario straordinario all’emergenza, generale Paolo Figliuolo, e con il capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio. “I dati del Regno Unito, solo 17 decessi oggi, ci testimoniano che il vaccino è la soluzione, e che bisogna darsi una mossa”, spiega chi sta lavorando al dossier.

Quota 500mila somministrazioni, là dove Figliuolo ha fissato l’asticella, sembra ancora lontanissima. “Entro fine mese finiremo le scorte”, dice Attilio Fontana nel tentativo di mettere una toppa al caos che ha investito la macchina delle prenotazioni in Lombardia. Il ritardo della consegna è un dato di fatto, e Draghi si è voluto sincerare del quadro della situazione. Entro domani, ha assicurato il commissario straordinario, verranno consegnate circa un milione di dosi della Pfizer, pronte a essere smistate in oltre 200 strutture sanitarie. Preoccupa la consegna nel medio periodo, ma intanto il governo vuole assicurarsi che tutti i luoghi di somministrazione non si debbano trovare nella situazione di mandare a casa chi è prenotato e in coda.

Difficile che il problema si ponga senza una robusta accelerata nelle somministrazioni. Sul tavolo del premier sono stati squadernati i dati delle singole Regioni. In alcune le cose procedono speditamente, altre arrancano. Per questo Draghi ha voluto fare il punto anche con la ministra degli Affari regionali, Mariastella Gelmini per capire quali possano essere le soluzioni attraverso le quali il governo possa aiutare le operazioni là dove si sono inceppate. 

Un giro di ricognizione generale, al quale faranno seguito alcune ipotesi di lavoro e una decisione finale nei prossimi giorni. Di certo in ballo c’è un ulteriore rafforzamento del ruolo dell’esercito sia nella logistica sia nella somministrazione, e task force mirate messe in campo dalla Protezione civile per rinforzare i territori in difficoltà.

A prendere i dati del governo aggiornati alle 15.31 di lunedì, le dosi rimaste in freezer sono quasi 1 su 5. La media nazionale delle somministrazioni è ferma all’82,4% rispetto al totale di quelle consegnate. Matteo Salvini plaude alla decisione di Fontana, che ha chiesto l’azzeramento dei vertici dell’azienda sanitaria regionale dopo il tilt delle prenotazioni andato in scena nell’ultimo fine settimana. “La percentuale di chi ha ricevuto una dose degli over 80 che hanno aderito, circa 600mila, supera di gran lunga il 50 per cento, in linea con ciò che accade nel resto del Paese”, si è difeso il presidente lombardo, sottolineando come lo scorso sabato “in tutta Italia sabato sono state inoculate 120mila dosi, di cui 30mila nella sola Lombardia”.

Il dato di fatto è che le Regioni che si collocano sotto la media nazionale sono tutte amministrate dalla Lega o da governatori vicini al Carroccio. Fanalino di coda la Sardegna dell’indipendentista Michele Solinas, eletto grazie all’accordo con le camicie verdi, solo il 70,5% di dosi somministrate. Non va molto meglio nella Liguria di Giovanni Toti, ex forzista e considerato “amico” dal quartier generale di via Bellerio. Le altre 5 in ritardo sono tutte amministrate da leghisti: la Calabria di Nino Spirlì (71,5%), la Lombardia (78,3%), il Veneto di Luca Zaia (80,1%), l’Umbria di Donatella Tesei (81,6%) e il Friuli Venezia Giulia di Massimiliano Fedriga, che più si avvicina al dato complessivo pur rimanendo sotto (82%).

I collaboratori di Draghi assicurano che il problema non viene e non verrà trattato politicamente, perché l’obiettivo è comune e la salute delle persone non deve prestarsi a speculazioni. Ma il dato non passa inosservato nel governo: “Un problema c’è ed è evidente”, spiega un esponente dell’esecutivo. Che continua: “Vista la situazione di polemiche è inutile farne, ma non ci si può nascondere dietro un dito”. Un tramestio che sfiora appena l’ufficio di Draghi, per il quale il problema da risolvere rimane sempre e solo uno: arrivare nel più breve tempo possibile a mezzo milione di vaccini al giorno.

di Pietro Salvatori, su Huffington Post

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