La casa in cui si combatte la violenza sulle donne
L’ingresso del centro antiviolenza Lucha y siesta, giugno 2017. (Sara Cervelli)
Jasmine ha ventidue anni e due vite. Ha dipinto le pareti della sua stanza di verde e di rosso per ricordarlo: in basso ha disegnato con il pennello una striscia rosso scuro come il suo vestito da sposa. In alto ha dipinto una striscia verde come il giardino della casa dove abita nella sua nuova vita, quella che è cominciata quando è scappata dall’appartamento dove era stata rinchiusa dal marito in una città dell’Italia del nord. Jasmine non è il suo vero nome, ma per ragioni di sicurezza non può rivelare la sua identità.
Fa fatica a ricordare i particolari del primo e del secondo tempo della sua storia, ma non dimentica le date: si è sposata due giorni prima del suo diciottesimo compleanno nel 2013. Tre anni dopo – nel 2016 – è entrata per la prima volta a Lucha y siesta, nella periferia est di Roma, un centro antiviolenza e una casa delle donne fuori dai canoni, “un progetto di semiautonomia”, come lo definiscono le operatrici che lo hanno fondato nel 2008. Nel centro sono ospitate una decina di donne italiane e straniere che hanno subìto violenze psicologiche, fisiche o economiche soprattutto dai loro familiari, in particolare dai mariti o dai compagni.
Jasmine non conosceva una parola d’italiano quando ha varcato il cancello verde che separa il giardino della casa dalla strada. Poco più di un anno dopo la sua vita è cambiata radicalmente: ha superato la confusione in cui era piombata dopo la fuga da casa, ha imparato l’italiano, ha frequentato un corso professionale e ora lavora in una piccola azienda che prepara sushi per supermercati e ristoranti. Vuole diventare una cuoca: “Mi piace cucinare, ma non sono quasi mai soddisfatta di quello che cucinano gli altri”.
Dice di non aver più paura di niente, anche se a volte pensa ancora all’uomo che le ha spezzato la vita in due. Sfoglia le foto del matrimonio sullo schermo del telefono: nelle immagini ha le mani dipinte di henné come nella tradizione del suo paese, il volto rotondo incorniciato da gioielli che sembrano ricami. “Ho perso quindici chili in quei tre anni, così tanti che quasi non mi riconosco nelle foto di prima”, confessa.
Senza amore
La sera, a volte, quando nella casa scende il silenzio, i pensieri esplodono e corrono al passato. “Penso alle cose belle che mi diceva prima di sposarci, al giorno del matrimonio”, racconta. “Non riuscirò mai più a innamorarmi”. Le labbra s’inarcano in una smorfia amara. Dopo il matrimonio Jasmine ha scoperto che il marito aveva da tempo una relazione con un’altra donna e non aveva alcuna intenzione di rinunciare alla sua doppia vita.
“Ho passato giornate intere a piangere sul letto, mi sentivo presa in giro, ho minacciato di tornare a casa dei miei genitori”, racconta. Lui ha cominciato a insultarla, a umiliarla, a picchiarla, a chiuderla nell’appartamento. “Non sapevo come scappare, non conoscevo nessuno nella città dove vivevo e non parlavo italiano”, dice. A volte, quando tornava a casa dopo che era stato dall’altra donna, pretendeva di fare sesso con Jasmine e la violentava. “Sei ancora mia moglie, diceva”.
Un’ospite del centro Lucha y siesta nella sua stanza, Roma, giugno 2017. (Sara Cervelli)
Un giorno Jasmine ha chiamato i carabinieri. La prima volta che gli agenti sono arrivati a casa, il marito li ha convinti che la ragazza si era sbagliata, perché non era successo niente di grave, solo un litigio tra marito e moglie. Jasmine li ha dovuti chiamare molte volte prima che si rendessero conto che la ragazza era in grave difficoltà e che non poteva comunicare in italiano. Così l’hanno portata in caserma, l’hanno separata dai familiari e hanno trovato un agente che potesse parlare con lei in inglese.
Dopo la denuncia, il marito di Jasmine è stato arrestato e la donna è scappata a Roma grazie a un amico di famiglia, avvisato dai genitori. “Non conoscevo nessuno, tutto mi sembrava strano. I posti, le persone”. A Roma, Jasmine ha trovato subito un lavoro, anche se in nero, mal pagato e precario, ma la cosa più difficile è stata trovare una casa.
“Lavoravo come guida turistica perché parlo bene l’inglese, ma non riuscivo a trovare una stanza. Per una donna sola non è facile”, racconta. È stata un’operatrice sociale del Telefono rosa a darle il numero della casa Lucha y siesta.
L’appuntamento è stato fissato davanti alla vetrina di un grande negozio di vestiti sulla Tuscolana. Jasmine ancora ricorda i palazzoni tutt’intorno, l’odore forte di smog della città, le macchine strombazzanti sulla strada e quella sensazione di smarrimento. Era arrivata a Roma da poco: tutte le strade le sembravano uguali e tutte ugualmente irriconoscibili. All’appuntamento ha incontrato Angela, una delle operatrici del centro, che le ha stretto la mano e l’ha portata fino al cancello verde di Lucha y siesta, senza mai lasciarla.
Continua a leggere sul sito de Internazionale.