Il linguaggio dell’odio e la comunità globale
Giovedì scorso Mark Zuckerberg ha scritto una lettera che ruota intorno al concetto di comunità. Viene infatti detto che il prossimo ambizioso progetto della sua piattaforma sarà «sviluppare infrastrutture sociali che diano alle persone il potere di costruire una comunità globale che funzioni per tutti noi». La globalizzazione ha lasciato indietro alcuni e l’opinione pubblica è divisa tra chi vuole connessioni sempre più forti e chi, al contrario vorrebbe un cambio di rotta.
La posizione di Zuckerberg è favorevole all’apertura perché ritenuta in grado di diffondere la conoscenza, la libertà, incoraggiare il progresso e la ricerca scientifica, contrastare la povertà e favorire i processi di pace. Tutto ciò non può essere fatto ragionando in termini di città o nazioni ma costruendo appunto una comunità globale. Anche Facebook può giocare un ruolo importante.
Come? Creando comunità di sostegno, sicure, informate, impegnate e inclusive. In particolare nel parlare della necessità di costruire comunità informate, l’ad di Facebook cita due delle due principali critiche mosse ai social network, ovvero le bolle dei filtri e le fake news. Del concetto elaborato da Eli Pariser è stato detto molto ma per descrivere l’utente nelle sue nicchie virtuali spesso ripenso al mito di Narciso. Chi naviga e soprattutto chi frequenta i social network infatti non si rispecchia in nulla che non sia in linea con i propri gusti, con le proprie opinioni e che non sia finalizzato ad accrescere il gradimento da parte degli altri utenti.
Più che il confronto con l’altro si cerca una continua conferma di quelle stesse opinioni, di quegli stessi gusti, in breve si cerca una propria auto-conferma. Così come Narciso osservava compiaciuto la propria immagine, allo stesso modo l’utente digitale resta a fissare le dinamiche distorte della rete, crede di vedere la proiezione di se stesso ma finisce con l’abituarsi ad essere inglobato da una realtà ingannevole che non offre gli strumenti idonei a leggere il mondo in maniera obiettiva.
Ognuno si chiude in nicchie e tribù virtuali, alimentando una polarizzazione delle proprie opinioni. Quando soggetti con idee differenti interagiscono, la Rete può diventare un luogo invaso dalle polemiche, dalle offese gratuite, dalla disinformazione, dal linguaggio dell’odio, in una parola dal rumore. Ne ho parlato proprio ieri a Trieste a «Parole Ostili» e per descrivere questo aspetto ho richiamato un altro mito che rende efficacemente l’idea, quello di Eracle nell’affrontare l’idra. Le teste del mostruoso serpente mitologico potrebbero infatti essere paragonate proprio a quello che spesso troviamo in rete, ovvero all’odio, alla violenza, alla disinformazione, alla paura, allo scetticismo nei confronti della scienza, e così via.
Ogni volta che si cerca di contrastare una di queste dinamiche, quest’ultima sembra nascere di nuovo, proprio come le teste dell’idra che una volta recise, erano destinate a crescere un’altra volta. Pensiamo al linguaggio dell’odio, se si incontra un troll o un utente che vuole offendere e si risponde, si rischia di contribuire ad alimentare la polemica. Oppure pensiamo alla disinformazione intenzionale in rete, più si fa verifica, più si rischia paradossalmente di ottenere effetti controproducenti, così come evidenziato anche da Zuckerberg. Egli parla anche di comunità inclusive e questo mi porta a riflettere sul fatto che la Rete si sia modellata nel tempo sempre più come un insieme di gruppi non comunicanti tra di loro.
Il passo successivo quindi è far interagire questi assembramenti. Molti usano la metafora dei ponti, ma questi ultimi rischiano di essere vani se nessuno è disposto ad attraversarli, servono cioè persone che facciano da tramite. Non so quanti di voi ricordano l’episodio dei pescatori del Vangelo secondo Luca (Luca 5,1-11). Si narra di Simone e dei suoi uomini che dopo una notte in barca erano stanchi e demoralizzati perché la pesca era andata male. Gesù, il Maestro, loro punto di riferimento aveva suggerito con fiducia di prendere il largo, mettere da parte sfiducia e stanchezza e gettare nuovamente le reti. Facile prevedere come andò la notte seguente. Simone si sentì in colpa per aver avuto dubbi sull’esito della pesca e probabilmente non si sarebbe spinto in mare senza le parole del suo maestro. Il pescatore è un uomo umile che lavora incessantemente, non sempre la pesca va come vorrebbe ma sa che deve lavare le reti, sistemarle. Non solo, egli deve insegnare ad altri come costruirle e mantenerle. Ognuno di loro diventa punto di riferimento per altri pescatori e questi ultimi per altri ancora e così via.
Questo episodio porta a riflettere sull’importanza di persone in grado di spronare, dialogare e fare gruppo. Parlare di reti e comunità oggi che c’è l’assemblea del partito democratico sembra contraddittorio dal momento che una delle parole più usate per arrivare a questo appuntamento è stata scissione. Ecco io credo che dividersi risulti incomprensibile alla maggioranza degli elettori e iscritti al nostro partito. Fuori da qui imperversa la marea populista e non si possono sottovalutare le sfide che abbiamo davanti. Costruiamo dei ponti dunque ma cerchiamo di predisporci anche ad attraversarli.