Anche per oggi non si rompe. Renzi tratta sull’Italicum ma il sentiero è strettissimo



La Direzione nazionale del Partito Democratico si è riunita ieri alle 17, presso la sede di Via S. Andrea delle Fratte, 16.


Come le automobili di Gioventù bruciata obbligate a frenare prima del burrone, nella riunione della mitica “resa dei conti” il Pd ha rallentato – e di molto – la deriva che avrebbe portato a una frattura insanabile su referendum e Italicum. La rottura non è scongiurata ma come minimo è rinviata.

Matteo Renzi ha preferito dare corda alla minoranza, forse anche vincendo una istintiva voglia di farla finita, di mettere un punto a una querelle che va avanti da anni e che lo sfianca più di una riunione inconcludente a Bruxelles (“Da quando sono segretario non ho avuto un giorno senza polemiche”): però il premier ha ancora una volta preferito la linea dello smontaggio degli “alibi”. Come con Zagrebelsky, Renzi tenta di sottrarre agli avversari argomenti per il No, e se oggi il pomo della discordia è l’Italicum, bene, si ridiscuta l’Italicum. A una condizione: si faccia presto. Se ne discuta in una commissione di partito “unitaria”, poi si vede in parlamento dopo il 4 dicembre per chiudere entro l’anno. Un “sentiero stretto”, lo chiama Gianni Cuperlo. Strettissimo.

La storia dirà quanto sarà stata abile la mossa di Renzi di mostrarsi disponibile – specie a cospetto di un Bersani che in un’intervista domenicale aveva parlato di “asini che volano” – è un segno di forza, non un cedimento. Anche perché riposa su un dato di fatto: proposte alternative alla sostanza dell’impianto dell’Italicum non hanno i numeri in parlamento. Ed è lì che si vedranno le carte, nella competente commissione parlamentare. Nessun punto dell’Italicum è tabu, in teoria: e questo ha fato storcere il naso ai super-renziani che non immotivatamente vedono la tela disfarsi. Uno “tosto” come Roberto Giachetti ha quasi urlato: “Ma quando finisce?”.

Gianni Cuperlo – probabilmente avvertito della imminente disponibilità del segretario – ha colto al volo l’apertura di Renzi, “un sentiero stretto” che va però percorso, perché rompere il Pd significa rompere quel centrosinistra di governo che per lui è la stella polare nel firmamento della politica. Bell’intervento, anche drammatico:”Se non troveremo l’unità, voterò No e mi dimetterò da deputato”.

D’altra parte, Renzi voleva “prendere” proprio quella parte della sinistra – Cuperlo, in primis – per isolare le posizioni più irriducibili – Bersani, Speranza: e se l’obiettivo era questo, ci è riuscito. Anzi, Roberto Speranza, pur ribadendo tutte le critiche, ha dato il via libera alla commissione che dovrà verificare una nuova proposta.

E’ passata dunque una cosa a metà strada fra la mediazione e il rinvio dei problemi: “Rischiamo di fare fra tre giorni la stessa discussione”, ha detto infatti Maurizio Martina, uno dei grandi mediatori. Si è visto un Pd tormentato perché ognuno ha qualche cosa sullo stomaco, qualche motivo di nervosismo, come di stanchezza per il riproporsi sempre uguale di contrasti politici che non sono stati mai ricomposti e che non si sa se lo saranno in futuro.

Al di là della vicenda specifica dell’Italicum, restano tutte le differenze. Anche se la minoranza non ha partecipato al voto sulla relazione, si è riusciti a salvare l’unità interna, rinviando ad una nuova verifica. Meglio di niente. Per la leggendaria “resa dei conti” bisognerà attendere ancora.

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