"La lettera che andrebbe scritta oggi, prima che caschi tutto".



In questi giorni caldi in cui si discute molto sulla "Riforma del Lavoro" ci sembra corretto pubblicare, dopo quella di Matteo Renzi, anche la lettera che ha scritto l'altro esponente del nostro Partito e Deputato Pippo Civati :

Care amiche e cari amici,
il lavoro è la questione più delicata e in molti casi più dolorosa per i cittadini e (ancor più) per le cittadine italiane. Andrebbe trattata con rispetto e con misura, per evitare di dire cose troppo strumentali, molto sbagliate e spesso offensive.
Il premier ci dice – quando non se la prende con nemici reali e a volte immaginari – che dobbiamo cambiare un sistema ingiusto, che divide i cittadini in persone di serie A e di serie B e umilia i precari, e che non dobbiamo difendere il sistema vigente, un modello di diseguaglianze dove i diritti dipendono dalla provenienza o dall’età, mentre il nostro compito è difendere i diritti di chi non ha diritti.
Non c’è una sola né uno solo di noi che non sia pronto a sottoscrivere queste affermazioni. Possiamo dividerci su questo? Certamente no. Ci possono però essere soluzioni diverse per arrivarci. E soprattutto c'è il pericolo di adottare misure che peggiorano ulteriormente questa situazione inaccettabile.
A maggior ragione in quanto alla base di questa situazione non c’è un destino cinico ma una politica sbagliata. Che ha precarizzato e svalorizzato il lavoro, che ha premiato gli imprenditori più pigri e più imbroglioni abbandonando a se stessi quelli più coraggiosi e più innovativi, che ha puntato a dividere il mondo del lavoro, quando si deve piuttosto unirlo, e anziché trovare le giuste soluzioni tra gli interessi in conflitto passando attraverso la democrazia ha tentato di imporre d’autorità quelli di una parte.
A maggior ragione in quanto i protagonisti di quella politica sbagliata sono al governo con noi e pretendono oggi di imporre di andare avanti per quella strada. Se invece continueremo per quella strada fallimentare avremo risposto nel modo peggiore alle domande di quelli a cui nessuno finora ha pensato.
Il 29 settembre sarà presentato il Jobsact. A chi? Solo alla direzione o al corpo del partito? Quale Jobsact? Quello della legge delega (vaghissima), che non chiarisce le scelte fondamentali, o quello che scioglierà i nodi, con i provvedimenti attuativi (che sono evidentemente pronti, se potrebbero perfino essere trasferiti in un decreto, d’imperio)?
Con un gruppo di democratici e democratiche abbiamo prodotto un documento che entra nel merito delle scelte. Nessuno pretende di avere la verità rivelata e non chiediamo che sia adottato a scatola chiusa, anche se pensiamo che affondi le radici nell’elaborazione del nostro partito e nella nostra cultura di sempre (non vecchia né nuova, quella di sempre).
Siamo convinti che su questa linea potrebbero attestarsi il Pd, i sindacati, le altre forze di governo, all’insegna di quel contratto unico (unico, però) che si ispira al lavoro di Tito Boeri e Pietro Garibaldi, con tutele progressive che nel giro di poco tempo possano arrivare a una definizione più sicura del rapporto di lavoro.
che così ci si possa rivolgere a Marta, la precaria di 28 anni a cui si è rivolto il premier, ai suoi genitori e ai suoi amici, senza fare facile demagogia, senza cancellare quei pochi diritti che restano, dando più certezza al lavoro di tutti (perché se continuiamo ad abbassare la soglia dei diritti e dei salari non andremo da nessuna parte).
Piuttosto che minacciare il proprio partito con un «cascate male» d’altri tempi, sarebbe meglio mantenere un atteggiamento che non faccia cascare tutto: il governo, il partito di maggioranza relativa e, soprattutto, i diritti delle persone che lavorano o che vorrebbero lavorare.
Abbiamo la pretesa che le posizioni siano esaminate, confrontate, condivise infine. Fino alla consultazione degli iscritti attraverso un referendum, se i processi ordinari di partecipazione capillare non possono essere più messi in piedi.

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