La Chiesa, i preti, la mafia


Le parole pronunciate la scorsa settimana in occasione della Giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime di mafia dal Papa sono straordinariamente importanti.

Ed importante è come sempre il ruolo di Don Ciotti nell'affermare un no forte alla mafia, senza retorica, ma con la forza di un percorso che oramai si è fatto ventennale.

Papa Francesco ha indossato la stola di Don Peppino Diana, ucciso dalla camorra venti anni fa, in un gesto altamente simbolico a cui ha associato parole di condanna forti contro le mafie ed il rapporto perverso tra criminalità organizzata e Chiesa. Un rapporto fatto di gesti che assomigliano a superstizioni ma che sono fortemente intrise di tradizione cristiana, nelle immaginette bruciate, nella presenza ostentata alle processioni.

Un rapporto intriso anche di cattivi comportamenti di alcuni preti, complici e qualche volta ignavi. un articolo di qualche giorno fa su Repubblica, un percorso cominciato da Giovanni Paolo II e continuato con tutti i suoi successori (si, anche con Benedetto XVI, anche se troppo spesso lo si ignora):
Come ricorda Roberto Saviano in
Anche Giovanni Paolo II aveva pronunciato - il 9 maggio del 1993 ad Agrigento - un attacco durissimo alla mafia: "convertitevi una volta verrà il giudizio di Dio". Due mesi dopo i corleonesi misero una bomba a San Giovanni in Laterano. Ma Francesco I non parla solo a chi spara: ha abbracciato i parenti delle vittime della mafia, ha abbracciato don Luigi Ciotti, un sacerdote che non era mai stato accolto da un pontefice in Vaticano e con Libera è diventato l'emblema di una chiesa di strada, che si impegna contro il potere criminale. La chiesa di don Diana, che fu lasciato solo a combattere la sua battaglia. Oggi Francesco invita a stare a fianco dei don Diana. Le sue parole rompono l'ambiguità in cui vivono quelle parti di chiesa che da sempre fanno finta di non vedere, che sono accondiscendenti verso le mafie, e che si giustificano in nome di una "vicinanza alle anime perdute".
 Rompere questo rapporto, disfare le zone oscure è un compito che la Chiesa non può trascurare. E non può trascurarlo neanche il nuovo Governo, come è bene sottolineare.
Gli affiliati non temono l'inferno promesso dal Papa: lo conoscono in vita. Temono invece una chiesa che diventa prassi antimafiosa. Le parole di Francesco I potranno cambiare qualcosa davvero se la borghesia mafiosa sarà messa in crisi da questa presa di posizione, se l'opera pastorale della chiesa davvero inizierà a isolare il danaro criminale, il potere politico condizionato dai loro voti. Insomma se tutta la chiesa - e non solo pochi coraggiosi sacerdoti - sarà davvero parte attiva nella lotta ai capitali criminali. Dopo queste parole o sarà così o non sarà più Chiesa.

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