Per redistribuire il lavoro occorre rompere qualche tabù

Sull' Unità di sabato 1 febbraio c'è un'interessante articolo di Nicola Cacace sulla "redistribuzione del lavoro", sul quale mi trovo pienamente d'accordo. 
Cacace scrive: "Da alcuni studi si è trovato che il "Jobless Growth, sviluppo senza occupazione, è il male del secolo: le innovazioni tecnologiche non favoriscono più l'occupazione."

Il famoso economista John Maynard Keynes; nel 1930, prevedeva che nel giro di cent'anni le persone sarebbero state più ricche e avrebbero lavorato solo 15 ore a settimana.

Questa previsione di Keynes in gran parte si è realizzata: infatti in cent'anni la durata annua del lavoro in Europa si è quasi dimezzata ed i Paesi a più alta occupazione sono quelli con orari inferiori alle 27 ore settimanali. Paesi come Germania, Olanda, Francia, Norvegia hanno una durata annua del lavoro inferiore alle 1500 ore.

Cacace inoltre dice che questi studi, in sostanza, affermano che, mentre le innovazioni tecnologiche della prima rivoluzione industriale hanno portato a creare più posti di lavoro di quanti ne hanno soppressi, con l'arrivo della rivoluzione elettronica ed informatica le cose sono diverse.

L'innovazione digitale e la crescente quantità di dati disponibili in tempo reale sta producendo la cancellazione di vecchi lavori superiore alla creazione di nuovi. Quindi anche nei servizi sta succedendo quello che è successo all'agricultura e all'industria con una continua perdita di occupazione.

Perciò alcuni Paesi industriali più avveduti hanno capito che per mantenere alti livelli di occupazione bisogna ridurre gli orari di lavoro ben sapendo che solo con la qualità e l'innovazione, non con la quantità, si può vincere la competizione internazionale.


L'articolo si conclude affermando che purtroppo, per altri Paesi come l'Italia, la ripresa sarà invece "Jobless", se non si applica una vera "redistribuzione del lavoro"; parola ancora tabù per noi in Italia.


E' venuta l'ora di discutere seriamente di questo argomento dentro al dibattito politico quotidiano e non parlare sempre di solite leggi elettorali, se vogliamo realmente risolvere il problema che ci assilla sempre più in questi ultimi anni e cioè il lavoro che non c'è. 


    Carlo Livorno 


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