Non guardate al domani, ma al dopodomani


Quest'oggi ricorre il 35° anniversario dell’uccisione di Aldo Moro, tra gli artefici più convinti del compromesso storico, da parte delle Brigate Rosse dopo 55 giorni di prigionia.

Per ricordarlo vi proponiamo una riflessione di Pierluigi Castagnetti per il quotidiano online Europa

Siamo soliti, ormai da 35 anni, ricordare Aldo Moro in due date, il 16 marzo giorno della sua cattura e dell’assassinio dei cinque uomini di scorta, e il 9 maggio giorno del suo sacrificio. In mezzo cinquantacinque lunghi giorni di prigionia in una cella lunga tre metri e larga uno. Mi chiedo perché, almeno per gli uomini della mia generazione, continui la necessità di farne memoria.

Penso che la ragione si trovi tutta nel presente. In una delle 97 struggenti lettere dalla prigionia che conosciamo vi è una drammatica promessa da molti vissuta come una maledizione: «Io risarò ancora come un punto irriducibile di contestazione e di alternativa». Contestazione e alternativa. Quante volte nei momenti di crisi della nostra democrazia e soprattutto di agonia del suo partito, la Democrazia Cristiana, questa invettiva è stata riesumata come spiegazione di cose che ci si rifiutava di capire e spiegare.

Più responsabilmente è capitato, al professor Valerio Onida poche settimane fa nel commemorare il venticinquesimo anniversario dell’ultima vittima delle Brigate Rosse, Roberto Ruffilli, e a tanti di noi chiamati a celebrare il sessantasettesimo anniversario del 25 aprile, constatare – proprio ora che sembriamo essere alla vigilia di un ennesimo tentativo di riforma della Carta costituzionale – che “quel modello” di democrazia, nonostante l’intrinseca fragilità, resse la prova terribile del terrorismo, mentre la cosiddetta seconda repubblica rischia di essere travolta da quella ben più vincibile del qualunquismo e dell’antipolitica. Scrisse infatti Tony Judt, uno dei maggiori storici delle vicende europee, «l’affare Moro è stata la prova indiscutibile dell’incompetenza dello stato italiano… (e tuttavia) non è cosa da poco che in quegli anni la democrazia e lo stato di diritto siano sopravissuti».
Vi è poi un’altra grande ragione per cui Moro resta sempre lì, in mezzo alla storia della repubblica come segno di contraddizione, che chiamerei il “rimorso” di una generazione. «Non siamo riusciti in quell’occasione a conciliare il senso dello stato con quello della vita» osservò Riccardo Misasi, destinatario di una delle lettere dalla prigionia più laceranti.

Qual è il prezzo della vita, anche di una sola vita, e quale quello dello stato?  Qual è il confine fra il diritto personale individuale e quello della comunità? 

Domande difficili che hanno alimentato un dibattito che ha contribuito a dare senso alla politica. Domande riaffacciatesi in anni successivi quando si trattò di decidere la partecipazione dell’Italia in diversi teatri di guerra, domande che hanno diviso e nello stesso tempo unito un popolo, diviso nelle risposte ma unito nelle domande che sapeva porsi. Oggi di che si alimenta il dibattito pubblico, e poi: c’è un dibattito pubblico, come può vivere una comunità se non si ritrova intorno a grandi questioni? 

Allora si disse che questioni così intense avrebbero dovuto trovare risposta in una Seconda repubblica. La Seconda repubblica è arrivata ma le domande sono state smarrite.

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DoppiaM

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