Il dovere di raccontare
Oggi, 3 maggio, è la giornata mondiale dedicata alla libertà di stampa.
Il quotidiano La Stampa dedica oggi uno speciale a questo avvenimento. Il direttore del giornale, Mario Calabresi, apre lo speciale con un editoriale, del quale vi riportiamo alcuni stralci interessanti, per dare l'idea dell'importanza del tema.
In ogni angolo del mondo ci sono giornalisti minacciati, picchiati, trascinati in tribunale per spingerli a smettere di «disturbare», rapiti, uccisi. Ci sono Paesi in cui il «pericolo» viene associato soltanto all’andare a raccontare le guerre all’estero e Paesi in cui ci vuole coraggio a descrivere ciò che accade sotto casa. Ci sono Paesi in cui le due cose convivono.
In Italia se vuoi vivere tranquillo è consigliato non partire per la Siria, l’Afghanistan, la Libia ma anche non fare inchieste sulla ‘ndrangheta o la camorra e non importa se il tuo lavoro lo fai a Napoli, a Modena, nella Locride o nell’hinterland milanese. Ma non basta. Se vuoi evitare minacce, aggressioni e fastidi lascia perdere pure gli anarco-insurrezionalisti, evita di avere spirito critico ad una manifestazione contro la Tav e non metterti a presentare libri di dissidenti cubani. L’intolleranza verso un’informazione libera e critica ha facce e radici le più diverse tra loro. L’Italia ha poi la variante giudiziaria: da noi il sistema politico e quello affaristico hanno il vizio di usare l’arma delle querele come minaccia e la richiesta di risarcimenti esorbitanti e sproporzionati rispetto all’eventuale danno ricevuto per scoraggiare i cronisti, i direttori e gli editori e per renderli più gentili e «distratti».
Eppure il giornalismo non è mai stato attaccato, sminuito e dileggiato come in questi tempi, in cui viene accusato di essere parte della casta e indicato come complice del decadimento della politica e delle amministrazioni pubbliche. E dire che mai come negli ultimi anni il giornalismo italiano ha messo sotto accusa il sistema dei partiti, denunciando truffe, sprechi e privilegi e che se un’obiezione sarebbe da muovere non è alla timidezza ma alla mancanza di garantismo. L’onda del malessere e un certo qualunquismo dilagante non sembrano però essere capaci di fare distinzione alcuna.
Come diceva più di un secolo fa Lord Northcliffe, giornalista e poi editore inglese: «La notizia è quella cosa che qualcuno, da qualche parte, non vuole sia pubblicata. Tutto il resto è pubblicità».
Qui lo speciale de La Stampa.