La brutta storia di Alitalia
Il Post torna qui sulla vicenda Alitalia.
Da ieri, quindi, scatta una sorta di “liberi tutti” per cui i “capitani patriottici” – com’erano chiamati all’epoca – che salvarono Alitalia possono rivendere le loro azioni al miglior offerente, purché il Consiglio di Amministrazione dia il suo assenso (una clausola che scadrà il 28 ottobre).
Il lockup scade poche settimane dopo la diffusione delle notizie sulla nuova crisi dell’azienda. La compagnia, ha scritto Ettore Livini su Repubblica, perde 630 mila euro al giorno, ha debiti per più di 700 milioni e soltanto 300 milioni di euro in cassa. Secondo molti, l’unica possibilità per Alitalia è essere ricomprata dallo Stato, che aveva venduto le sue quote ai “capitani coraggiosi” quattro anni fa.
Oppure il salvatore della compagnia potrebbe essere Air France-KLM, che possiede già il 25% della compagnia. Nonostante lo abbia ufficialmente negato, secondo molti Air France intende rilevare le quote degli attuali soci ansiosi di uscire dall’azienda in crisi.
Il che è piuttosto ironico, visto che la cordata dei “capitani coraggiosi” venne messa insieme dall’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi proprio per evitare che Alitalia venisse comprata da Air France-KLM.
Riassumendo: CAI comprò Alitalia offrendo 700 milioni in meno rispetto ad Air France-KLM, e anche meno, visto che alla fine i “capitani coraggiosi” sborsarono effettivamente solo 300 milioni.
L’operazione è costata allo Stato l’esubero, cioè il riassorbimento in un altro incarico, di 7.000 lavoratori invece che di poco più di 2.000, a cui tra l’altro è stata garantita una cassa integrazione molto lunga.
A questo andrebbe aggiunto il costo della bad company, sempre a carico dello stato, che secondo alcuni potrebbe essere addirittura di 2 miliardi di euro.
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