Il programma del Pd per la Cultura



“La cultura è il nostro petrolio” oppure “L’Italia è il Paese che detiene il più grande patrimonio culturale del mondo”.

Queste affermazioni, che hanno perseguitato il mondo della cultura negli ultimi vent’anni, hanno fuorviato il dibattito e prodotto una serie di errori di impostazione, bloccando così ogni reale e concreta possibilità di porre le politiche culturali al centro di un’idea di crescita sociale, civile ed economica

E mentre si consumavano discorsi conditi da frasi demagogiche, le nostre città, i nostri territori, le nostre istituzioni culturali e dello spettacolo, iniziavano a mostrare i segni dell’abbandono e dell’incuria, di sempre minori risorse umane e finanziarie impegnate per la tutela, di crolli, di devastazione del paesaggio, di tagli al Fondo Unico dello Spettacolo, di uso clientelare di società pubbliche, di dispersione delle risorse, di assenza di politiche sistemiche, di mancanza di riconoscimento delle professioni e di deficit di politiche attive per il lavoro, di abbandono del tessuto produttivo e delle micro, piccole e medie imprese del settore creativo e culturale. 

Il Partito Democratico vuole una netta inversione
della rotta seguita in questi anni.

La cultura costituisce, prima di tutto, un diritto fondamentale dei cittadini: da questo principio discende la responsabilità pubblica di sostenerne lo sviluppo e la diffusione e, insieme, di garantire a tutti i cittadini l’accesso alla cultura e alla produzione culturale. 

Nonostante le difficoltà create dalla grave crisi economica, bisogna avvicinare progressivamente la spesa pubblica a livelli europei, partendo dalla chiara affermazione che quello in cultura è un investimento. E il carattere prevalentemente pubblico di questo investimento costituisce la vera garanzia di autonomia del mondo della cultura. 

Nell’affermare questa esigenza occorre però individuare strumenti di programmazione che aiutino a spendere meglio e a evitare la dispersione di risorse, cominciando dalla riorganizzazione dei diversi rivoli di finanziamenti straordinari che sfuggono ad una gestione interamente programmabile. Serve una seria politica di monitoraggio della spesa (pubblica e privata) in grado di quantificarne il volume e di definire qualità ed efficacia degli investimenti per la realizzazione della missione pubblica.

Occorre fare di più per attrarre nuove risorse private nel settore della cultura. L’esperimento degli incentivi fiscali per il cinema ha dimostrato che, se ben congegnate, queste politiche aiutano lo sviluppo del settore e portano allo Stato risorse maggiori di quelle a cui rinuncia. 

Matteo Orfini, responsabile Pd cultura e informazione
C'è bisogno però armonizzare gli interventi fiscali: iniziando dalla stabilizzazione del tax credit e del tax shelter e dalla loro estensione al comparto dell’audiovisivo. Gli incentivi fiscali sono sicuramente utili per lo sviluppo di diversi segmenti della produzione culturale (come ad esempio l’arte contemporanea o la musica), ma non devono mai essere considerati completamente sostitutivi dell’investimento diretto. Occorre garantire e rilanciare il ruolo del pubblico come propulsore e incubatore di innovazione e creatività, evitando inutili e deleterie sovrapposizioni con il privato, e insieme servono nuove che stimolino e semplifichino le sponsorizzazioni, le erogazioni liberali e il micro-mecenatismo.
E’ però evidente come non sia sufficiente l'aumento degli investimenti per risolvere tutti i problemi. L'intero settore ha bisogno di riforme coraggiose, che ne rendano più dinamico il funzionamento, che rompano incrostazioni clientelari e insostenibili rendite di posizione. 

Il Ministero per i beni e le attività culturali, dopo la smisurata crescita della sua struttura centrale a scapito di quella periferica, oggi paga il prezzo dell’emorragia di personale tecnico scientifico provocata dal blocco delle assunzioni nella P.A. e il sistema della tutela continua a soffrire la grave sottovalutazione delle proprie esigenze: è necessario ripristinare gli stanziamenti e riportare il bilancio del MiBac almeno sopra la quota dei 2 miliardi di euro. 

L’Italia ha bisogno di vere e proprie politiche industriali, per l’occupazione e per la tutela dei diritti dei lavoratori, dedicate al comparto creativo e culturale. Il grave ritardo italiano consiste prima di tutto nel continuare a considerare la cultura quasi solo in funzione ancillare del turismo, dimenticando così che essa costituisce in sé il principale fattore di sviluppo e innovazione. 

Dare riconoscimento, dignità, diritti, certezze, ai professionisti della cultura e della creatività è un fatto di civiltà e le politiche attive per la cultura e la creatività sono la precondizione per uscire dalla crisi meglio di come ci siamo entrati. L’impegno economico profuso in questi settori in occidente e tra i paesi in via di sviluppo dimostra che la competitività e il benessere collettivo aumentano solo di pari passo alla diffusione della cultura e agli investimenti nell’innovazione. 

La questione riguarda tutti i segmenti della filiera: dai musei al cinema e l’audiovisivo, dall’arte contemporanea allo spettacolo, dalla musica al design, dalla danza al teatro fino al paesaggio. 

La crescita culturale di una società costituisce la premessa indispensabile per rendere più solida, libera e plurale una democrazia. A partire dalla cultura si può ricostruire un’Italia più aperta e più giusta.

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