Cronache operaie: Piombino, l'altra Taranto
Continua il nostro viaggio nel mondo del lavoro.
Ripartiamo da Piombino. Dall'acciaio.
Ripartiamo da Piombino. Dall'acciaio.
In passato sul blog vi avevamo segnalato gli speciali di Rinaldo Gianola per l'Unità, Un viaggio nell'Italia del lavoro passando da:
- Paura di Mirafiori
- Brescia, i veleni della Caffaro
- La beata Brianza senza lavoro
- Emilia, capannoni e lavoro
- I superstiti dell'Olivetti
- Termini Imerese, il sogno infranto
- La frontiera di Priolo
- Ecco i fantasmi di Marghera
- La nostalgia di Genova
- La ferita di Pomigliano
- Prato non vuole morire
-La sfida della Vespa
Quest'oggi grazie a due bellissimi articoli
di Adriano Sofri per Repubblica e Marco Bucciantini per l'Unità
vi raccontiamo dell'altoforno Lucchini;
Duemila lavoratori a rischio: "I debiti dell'azienda la nostra diossina". La proprietà ceduta dai russi alle banche, un pezzo del gruppo già venduto e la Collera in fabbrica: le rotaie dell'Alta velocità prodotte qui, ma lo Stato non ha un progetto.
Piombino e Taranto hanno mare e acciaio, e un po' si assomigliano, fatte le proporzioni - Piombino ha 36 mila abitanti. Di Taranto si sa. Anche Piombino se la vede bruttissima.
Alla Lucchini, 2.100 dipendenti (di cui quattro donne operaie, e sessanta stranieri) più 1.500 dell'indotto, età media 32 anni, giovedì mattina si è fermato l'altoforno, in teoria fino all'11 gennaio. Spiega Mirko Lami, operaio e sindacalista: "La produzione era già bassa, dunque anche la temperatura della parte inferiore, il crogiolo, sicché c'è il rischio che la ghisa si rapprenda. Successe già nel 1989, bisognò forare e piazzare la dinamite, poi entrare con le motopale, ma viene giù anche il refrattario e bisogna ricostruire tutto, e costa carissimo. L'altoforno è una bestia larga 14 metri e alta 30, può sfornare 2,3 milioni di tonnellate di ghisa, nell'ultimo anno ne ha tirate fuori solo 1,2 milioni, il minimo. Siamo preoccupati".
Gli impianti siderurgici a ciclo integrale in Italia sono due, Taranto (che di altoforni ne ha cinque, e ne ha appena spento uno) e Piombino. L'Ilva è, finché dura, dei Riva. L'acciaieria di Piombino non è di nessuno, più o meno. Ha una storia più che secolare, e non tanti anni fa ci lavoravano in ottomila. Privatizzata coi Lucchini, passò ai russi della Severstal (stal, acciaio, come Stalin...), che progettarono un nuovo altoforno, tre milioni di tonnellate: "Ci lavorammo sei mesi, e nel 2008, all'arrivo della crisi, in tre giorni liquidarono tutto".
Il magnate Mordashov, troppo ricco per essere visibile a occhio nudo, l'ha passata per un euro a un pool di nove banche creditrici, le quali, oltre che ristrutturare il debito, non sanno che farne. Ci si può vedere una conferma della fine del ciclo integrale per l'acciaio: affare di Cina e India, mentre nei Paesi rottamatori è il tempo dei forni elettrici. "Ma solo noi fabbrichiamo le rotaie dell'Alta velocità, 108 metri senza saldatura - avverte Mirko, che un certo orgoglio da produttore ce l'ha - Il rottame è intriso di impurità, e i forni elettrici arrivano solo a 1200 gradi; l'altoforno tocca i 1700 gradi, così da bruciare le impurità". (Tutti i binari italiani sono venuti da qui. Oscar Sinigaglia aveva profetizzato nel 1946: "Verrà un giorno in cui le rotaie saranno fabbricate in un determinato acciaio speciale...". L'ha raccontato su Repubblica Alessandra Carini il 3 dicembre: L'Ilva e il made in Italy).
Alla Lucchini, 2.100 dipendenti (di cui quattro donne operaie, e sessanta stranieri) più 1.500 dell'indotto, età media 32 anni, giovedì mattina si è fermato l'altoforno, in teoria fino all'11 gennaio. Spiega Mirko Lami, operaio e sindacalista: "La produzione era già bassa, dunque anche la temperatura della parte inferiore, il crogiolo, sicché c'è il rischio che la ghisa si rapprenda. Successe già nel 1989, bisognò forare e piazzare la dinamite, poi entrare con le motopale, ma viene giù anche il refrattario e bisogna ricostruire tutto, e costa carissimo. L'altoforno è una bestia larga 14 metri e alta 30, può sfornare 2,3 milioni di tonnellate di ghisa, nell'ultimo anno ne ha tirate fuori solo 1,2 milioni, il minimo. Siamo preoccupati".
Gli impianti siderurgici a ciclo integrale in Italia sono due, Taranto (che di altoforni ne ha cinque, e ne ha appena spento uno) e Piombino. L'Ilva è, finché dura, dei Riva. L'acciaieria di Piombino non è di nessuno, più o meno. Ha una storia più che secolare, e non tanti anni fa ci lavoravano in ottomila. Privatizzata coi Lucchini, passò ai russi della Severstal (stal, acciaio, come Stalin...), che progettarono un nuovo altoforno, tre milioni di tonnellate: "Ci lavorammo sei mesi, e nel 2008, all'arrivo della crisi, in tre giorni liquidarono tutto".
Il magnate Mordashov, troppo ricco per essere visibile a occhio nudo, l'ha passata per un euro a un pool di nove banche creditrici, le quali, oltre che ristrutturare il debito, non sanno che farne. Ci si può vedere una conferma della fine del ciclo integrale per l'acciaio: affare di Cina e India, mentre nei Paesi rottamatori è il tempo dei forni elettrici. "Ma solo noi fabbrichiamo le rotaie dell'Alta velocità, 108 metri senza saldatura - avverte Mirko, che un certo orgoglio da produttore ce l'ha - Il rottame è intriso di impurità, e i forni elettrici arrivano solo a 1200 gradi; l'altoforno tocca i 1700 gradi, così da bruciare le impurità". (Tutti i binari italiani sono venuti da qui. Oscar Sinigaglia aveva profetizzato nel 1946: "Verrà un giorno in cui le rotaie saranno fabbricate in un determinato acciaio speciale...". L'ha raccontato su Repubblica Alessandra Carini il 3 dicembre: L'Ilva e il made in Italy).
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C’è il mare, la terra, le ville che si affacciano sull’Elba, le casette degli operai che s’impregnano di odori e si popolano di disillusioni. C’è il fuoco, il carbone e il metallo, che si mescolano. C’è l’acciaio e c’è la ghisa, e una città sconfitta in fondo al fumo.
A Piombino manca solo il padrone: c’è il passato e ci potrebbe essere il futuro. Un Paese serio e sano qui combatterebbe la sua sfida più fiera, produttiva, industriale, ambientale. Ci sono le risposte, a Piombino. Sono nelle mani e nella competenza dei lavoratori. Nella qualità dell’acciaieria a ciclo integrale. Ma per cercare serve coraggio, curiosità, visione.
L’altoforno è fermo, da giovedì. Lo sarà per un mese. Nel comunicato aziendale, nel frasario del sindacato e degli operai, si dice: «Messo a riposo». Come cosa viva: questo è. Quando l’altoforno riposa, non circola il sangue nella fabbrica.
Il Cotone e il Poggetto sono quartieri dal nome morbido e gentile. Da un colle lieve all’ingresso della città scivolano verso il porto: nel mezzo, separata da un muricciolo, c’è l’acciaieria. Sui sassi, una scritta laica: «Il destino è nelle nostre mani». Un tempo, dalle stanze si sentivano gli scoppi delle fusioni e l’odore della cokeria ammantava il quartiere.
A Piombino manca solo il padrone: c’è il passato e ci potrebbe essere il futuro. Un Paese serio e sano qui combatterebbe la sua sfida più fiera, produttiva, industriale, ambientale. Ci sono le risposte, a Piombino. Sono nelle mani e nella competenza dei lavoratori. Nella qualità dell’acciaieria a ciclo integrale. Ma per cercare serve coraggio, curiosità, visione.
L’altoforno è fermo, da giovedì. Lo sarà per un mese. Nel comunicato aziendale, nel frasario del sindacato e degli operai, si dice: «Messo a riposo». Come cosa viva: questo è. Quando l’altoforno riposa, non circola il sangue nella fabbrica.
DoppiaM