Le alluvioni, la prevenzione dimenticata e i condoni


9 morti e 5 dispersi. E danni incalcolabili.

E' il tragico bilancio, putroppo provvisorio, delle violente piogge abbattutesi su Liguria e Toscana.
Le zone più colpite sono quelle nel Levante ligure, in provincia di La Spezia, dove sono morte sette persone, e nella Lunigiana, con due vittime.

L'allerta della Protezione Civile vale anche per Veneto e Friuli, mentre le piogge si stanno spostando verso centro-sud, dove c'è preoccupazione per Calabria e Sicilia, dove la vulnerabilità dei territori e il dissesto idrogeologico potrebbero provocare problemi seri.


Oggi sul quotidiano La Stampa il geologo Mario Tozzi si occupa (qui) proprio di questo tema.

Buoni ultimi in Europa, gli italiani sembrano scoprire,
nell’autunno 2011, che il regime delle piogge è cambiato.
Non ci sono più le pioggerelline invernali, né le rugiade primaverili.
No, qui deflagrano vere e proprie bombe d’acqua.

Bombe d’acqua che scaricano in poche ore la stessa quantità di pioggia che un tempo cadeva in qualche mese. Quasi 130 mm di pioggia a Roma (con due vittime) in un paio d’ore, una vittima nel Salernitano, 140 mm in una sola ora alle Cinque Terre e ancora dispersi. Peccato che le alluvioni istantanee (flash-flood) siano ormai da tempo diventate la regola nel nostro Paese e investano anche bacini fluviali minori.

Questo non è più il tempo delle grandi piene del Polesine o dell’Arno: nell’Italia del terzo millennio tocca e toccherà sempre più all’Ofanto, piuttosto che al Brachiglione. Le bombe d’acqua sono figlie del clima che si surriscalda e si estremizza: più energia termica a disposizione dei sistemi atmosferici significa maggiore possibilità di eventi fuori scala rispetto al passato. 
Ma tutto peggiora quando, anziché guardare in terra, si continua a osservare il cielo nella speranza che il fato non sia avverso. 

L’esempio della Liguria è eclatante: le alluvioni in quella sottile striscia di terra sono e saranno la regola a ogni pioggia un po’ più grave del solito

Per forza: quando si costruisce fino dentro gli impluvi fluviali, il terreno viene reso impermeabile e non assorbe più la pioggia che, invece, si precipita nei corsi d’acqua, ormai non più commisurati a quelle precipitazioni. 

Così arrivano le alluvioni, dovute alla nostra scarsa conoscenza della dinamica naturale e al mancato rispetto delle regole: se si leva spazio al fiume, il fiume prima o poi se lo riprende. E hai voglia a sturare i tombini a Roma o a decretare lo stato di calamità (che non andrebbe assolutamente favorito, perché si deve operare in prevenzione, non in emergenza) a La Spezia: sono solo palliativi che rimandano alla prossima occasione.

Se non si liberano i fiumi dell’aggressione cementizia, se non si rispettano le regole di un territorio così fragile e giovane come quello italiano e se, peggio, si favorisce l’abusivismo anche attraverso sciagurati piani casa e ancor più sciagurati condoni, il problema non si risolverà mai.

Ma proprio questo è il punto: nessun decisore politico si impegna nella manutenzione del territorio attraverso piccole opere diffuse. Tutti sperano di lucrare consenso con l’ennesimo ponte inutile o l’ennesimo raddoppio di strada. Così non si opera nell’interesse della popolazione e si degrada il territorio al rango dei Paesi del Terzo mondo, mentre si hanno ambizioni da sesta potenza industriale del pianeta. Le perturbazioni investiranno le solite zone ad alto rischio: l’Alto Lazio, la Campania, la Calabria e Messina. E ascolteremo le solite litanie e giustificazioni, magari appellandosi all’eccezionalità dell’evento che, però, non è ormai più tale. 

Non si può vivere a rischio zero, è vero,
ma, non avendo fatto nulla,
non ci si dovrebbe nemmeno lamentare.

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