Primo maggio. Dov'è la festa?
A conclusione di un weekend che, nei nostri post, abbiamo in larga parte dedicato al primo maggio, una sintesi di un articolo di Ilvo Diamanti pubblicato su Repubblica del 30 aprile.
Si è aperta una stagione senza feste civili. Dove i riti della memoria, che danno senso e identità alla nostra Repubblica, vengono guardati - e trattati - con insofferenza e indifferenza, da una parte del paese. In particolare, dalla maggioranza politica di governo.
Il Primo Maggio non si sottrae al clima del tempo. Al contrario. Non solo perché evoca le lotte del movimento operaio e sindacale. Una versione in grande della "Festa dell'Unità", dove si canta "Bella Ciao" e sventolano le bandiere rosse.
Il Primo Maggio disturba anche - e soprattutto - perché il lavoro e i lavoratori appaiono, ormai, entità inattuali.
Si dovrebbe parlare, semmai, del "non lavoro". Della disoccupazione reale e di quella implicita. Nascosta tra le pieghe dei lavoratori scoraggiati, che non risultano disoccupati solo perché, per realismo, non si "offrono" sul mercato del lavoro. E per questo non vengono calcolati nei "tassi di disoccupazione". Ma anche dell'occupazione informale. E si dovrebbe parlare, ancora, degli imprenditori, piccoli e piccolissimi, che stentano a continuare la loro attività perché i clienti non li pagano, faticano ad accedere al credito. E non riescono a mantenere l'azienda e i dipendenti. Lavoratori e piccoli imprenditori "disperati". Per fare parlare di sé, per essere "notiziabili", devono darsi fuoco, sequestrare i dirigenti, appendersi alle gru. Oppure inventarsi “L’isola dei cassintegrati", all'Asinara, recitando se stessi.
Lo abbiamo detto altre volte, ma vale la pena di ripetersi. C'è uno squilibrio violento fra la percezione sociale e la rappresentazione pubblica - mediatica - del lavoro e dei suoi problemi.
La disoccupazione è ormai in testa alle preoccupazioni degli italiani, visto che 38% di essi la indica come l'emergenza più importante da affrontare (Rapporto "Gli Italiani e lo Stato", Demos per Repubblica, novembre 2009).
Eppure se ne parla poco, sui media. Soprattutto in tivù. Tra le notizie di prima serata del Tg1 monitorate dall'Osservatorio di Pavia (per la Fondazione Unipolis) nello scorso settembre, ai problemi legati al lavoro, alla disoccupazione, alla perdita dei risparmi era riservato il 7% sul totale delle notizie.
Per fare un confronto con le tivù pubbliche di altri paesi europei, nello stesso periodo, Ard (Germania) dedicava ai temi del lavoro e della disoccupazione il 21% delle notizie, Bbc One il 26%, France 2 il 41%.
Eppure il tasso di disoccupazione in Italia continua a crescere e oggi ha raggiunto l'8,8% (dati Eurostat). Anche se il paese appare, anche in questo caso, diviso in due. Sotto il profilo territoriale: nel Sud il tasso di disoccupazione si avvicina al 20%. E sotto il profilo generazionale, visto che fra i giovani (15-24 anni) il tasso di disoccupazione sale al 28%. Il più alto d'Europa. Quasi 10 punti in più della media europea.
Ma i giovani, è noto, non esistono. Sospesi fra precarietà e dipendenza dalla famiglia. Una frazione minima di giovani (15-35 anni) pensa che, in futuro, riuscirà a raggiungere una posizione sociale migliore rispetto a quella dei genitori. Mentre il 56% pensa il contrario. Sanno che li attende un futuro difficile.
Così è più chiaro perché il Primo Maggio susciti disagio. Nel centrodestra, dove è percepito, da molti, una festa comunista. Ma, anche altrove. Perfino a sinistra, dove molti la considerano un rito nostalgico.
Si è aperta una stagione senza feste civili. Dove i riti della memoria, che danno senso e identità alla nostra Repubblica, vengono guardati - e trattati - con insofferenza e indifferenza, da una parte del paese. In particolare, dalla maggioranza politica di governo.
Il Primo Maggio non si sottrae al clima del tempo. Al contrario. Non solo perché evoca le lotte del movimento operaio e sindacale. Una versione in grande della "Festa dell'Unità", dove si canta "Bella Ciao" e sventolano le bandiere rosse.
Il Primo Maggio disturba anche - e soprattutto - perché il lavoro e i lavoratori appaiono, ormai, entità inattuali.
Si dovrebbe parlare, semmai, del "non lavoro". Della disoccupazione reale e di quella implicita. Nascosta tra le pieghe dei lavoratori scoraggiati, che non risultano disoccupati solo perché, per realismo, non si "offrono" sul mercato del lavoro. E per questo non vengono calcolati nei "tassi di disoccupazione". Ma anche dell'occupazione informale. E si dovrebbe parlare, ancora, degli imprenditori, piccoli e piccolissimi, che stentano a continuare la loro attività perché i clienti non li pagano, faticano ad accedere al credito. E non riescono a mantenere l'azienda e i dipendenti. Lavoratori e piccoli imprenditori "disperati". Per fare parlare di sé, per essere "notiziabili", devono darsi fuoco, sequestrare i dirigenti, appendersi alle gru. Oppure inventarsi “L’isola dei cassintegrati", all'Asinara, recitando se stessi.
Lo abbiamo detto altre volte, ma vale la pena di ripetersi. C'è uno squilibrio violento fra la percezione sociale e la rappresentazione pubblica - mediatica - del lavoro e dei suoi problemi.
La disoccupazione è ormai in testa alle preoccupazioni degli italiani, visto che 38% di essi la indica come l'emergenza più importante da affrontare (Rapporto "Gli Italiani e lo Stato", Demos per Repubblica, novembre 2009).
Eppure se ne parla poco, sui media. Soprattutto in tivù. Tra le notizie di prima serata del Tg1 monitorate dall'Osservatorio di Pavia (per la Fondazione Unipolis) nello scorso settembre, ai problemi legati al lavoro, alla disoccupazione, alla perdita dei risparmi era riservato il 7% sul totale delle notizie.
Per fare un confronto con le tivù pubbliche di altri paesi europei, nello stesso periodo, Ard (Germania) dedicava ai temi del lavoro e della disoccupazione il 21% delle notizie, Bbc One il 26%, France 2 il 41%.
Eppure il tasso di disoccupazione in Italia continua a crescere e oggi ha raggiunto l'8,8% (dati Eurostat). Anche se il paese appare, anche in questo caso, diviso in due. Sotto il profilo territoriale: nel Sud il tasso di disoccupazione si avvicina al 20%. E sotto il profilo generazionale, visto che fra i giovani (15-24 anni) il tasso di disoccupazione sale al 28%. Il più alto d'Europa. Quasi 10 punti in più della media europea.
Ma i giovani, è noto, non esistono. Sospesi fra precarietà e dipendenza dalla famiglia. Una frazione minima di giovani (15-35 anni) pensa che, in futuro, riuscirà a raggiungere una posizione sociale migliore rispetto a quella dei genitori. Mentre il 56% pensa il contrario. Sanno che li attende un futuro difficile.
Così è più chiaro perché il Primo Maggio susciti disagio. Nel centrodestra, dove è percepito, da molti, una festa comunista. Ma, anche altrove. Perfino a sinistra, dove molti la considerano un rito nostalgico.