Recovery Plan, a che punto siamo?


In settimana sul Recovery Plan sono state dette tante inesattezze. In questa intervista al Corriere della Sera, Enzo Amendola prova a fare chiarezza. 

Quando presenterete a Bruxelles il Recovery plan italiano? 

«A inizio 2021, come già indicato. Dunque appena dopo la pubblicazione del regolamento europeo, sempre che non ci siano slittamenti di calendario dovuti al veto di Polonia e Ungheria sul bilancio — risponde il ministro agli Affari europei Enzo Amendola — . In ogni caso un aggiornamento sul piano sarà presentato a fine mese: nasce dal voto di ottobre del Parlamento e si fonda su un dialogo continuo con la task force della Commissione. Nessun ritardo dunque, smettiamola di dare inutili allarmi in modo un po’ isterico. Qualcuno da giorni usa il Recovery come il cavallo di Troia per colpire il governo. Legittimo, ma per noi conta solo seguire il cronoprogramma deciso a Bruxelles e lavorare sodo con il Parlamento e con gli attori rappresentativi della società italiana». 

Chi è che vuole colpire il governo con l’argomento del Recovery plan? 

«C’è sempre qualcuno in Italia che pensa di beneficiare dall’instabilità. Ma non certo la maggioranza degli italiani, tantomeno in una fase drammatica come questa». 

Metriche astruse, calcoli algoritmici e dettagli difficili: è vero che i requisiti indicati da Bruxelles per come va scritto il Recovery plan sono complicati? 

«È vero che un piano di queste dimensioni presenta delle difficoltà, tanto più in una situazione economica e sociale incerta e con la pandemia in corso. Ma la Commissione ha indicato parametri coerenti con le priorità dell’Unione: green, digitale e coesione sociale. I dettagli sono importanti nella definizione dei singoli progetti e con il ministero dell’Economia lavoriamo per allineare Recovery, fondi europei del bilancio 2021-27 e legge di Bilancio nazionale, con un occhio alla crescita e l’altro alla sostenibilità del debito. Ora però è urgente accelerare gli investimenti pubblici e privati». 

C’è almeno un progetto che può anticipare? 

«Industria 4.0 molto rafforzato. Centrale per le imprese che si devono dotare di tecnologia. E corredato di un fondo competenze per la formazione dei lavoratori». 

La complicazione burocratica è frutto della diffidenza diffusa in Europa verso la nostra capacità di usare i fondi? Marco Buti, un alto funzionario di Bruxelles, su questo ha pubblicato analisi dettagliate. 

«Non parlerei né di complicazioni, né di diffidenza. Le regole valgono per tutti e l’interesse di tutti sta nello spendere risorse nella stessa direzione. Questo aspetto spesso sfugge, ma è centrale: parliamo di uno sforzo congiunto, non solo perché si è fatto debito comune, ma perché le risorse saranno investite da tutti i Paesi in modo coerente. Spingiamo tutti nella stessa direzione. Il fondo alimentato da bond europei è una novità anche per gli uffici di Bruxelles, che hanno dovuto organizzare una nuova macchina apposta. Ed è una sfida per la nostra amministrazione, abituata da anni a gestire tagli di spesa e meno a programmare investimenti». 

Gli esempi di progetti fatti da Bruxelles presuppongo riforme che toccano tanti interessi. Come fate a fare il Recovery plan nella segretezza? 

«Nessuna segretezza. Le linee guida e l’impiego dei fondi sono state votate in parlamento. Per esempio alcune riforme richieste sono, nero su bianco, nelle raccomandazioni della Commissione all’Italia 2019-20. Al primo posto ci sono giustizia e pubblica amministrazione». 

È una forma di condizionalità? 

«A me non paiono condizionalità. Mi paiono riforme urgenti». 

Ma a cosa si deve la scelta della totale riservatezza sui contenuti? 

«Alla necessità di preservare informazioni che a volte riguardano settori sensibili del Paese e delle sue aziende. Prima di rendere pubblici i risultati del lavoro di questi mesi, è necessario un nuovo passaggio dal Comitato interministeriale Affari europei e un aggiornamento del Parlamento. In seguito, prima della consegna formale a Bruxelles, ci sarà spazio per discutere e modificare il piano. Ascoltando tutti. Ma sulla base di una strategia chiara e ben definita, non di fughe di notizie più o meno infondate». 

Il commissario Paolo Gentiloni ha chiesto un meccanismo speciale di governance: cabina di regia esecutiva a Palazzo Chigi? 

«La governance di queste risorse avrà un meccanismo straordinario di attuazione ed esecuzione della spesa. Lo ha annunciato il premier Giuseppe Conte e stiamo lavorando per presentare in Parlamento le norme che definiscano la guida politica e tecnica del piano. Una soluzione mai sperimentata prima, ma necessaria per impiegare le risorse in pochi anni senza gli intralci burocratici o i ritardi del passato». 

Qualche dettaglio in più? 

«Quello decisivo: i problemi di esecuzione, frequenti nel nostro Paese, questa volta non ci devono essere». 

Quanto la preoccupa il veto di Ungheria e Polonia sul bilancio? 

«Se qualcuno pensava che cedessimo sui valori perché pressati dalla crisi, si sbagliava. Non si costruisce la nuova Europa senza difendere il rispetto dei Trattati. Siamo tutti uniti dall’accordo siglato con il Parlamento europeo e mi auguro che Ungheria e Polonia abbandonino la logica del veto». 

Ma questo ritardo può fare danni? 

«Sicuramente sì, al mercato comune e alle economie di ogni paese. A partire da Ungheria e Polonia». 

La preoccupa il passaggio della ratifica nei parlamenti di Olanda, Danimarca, Svezia, Finlandia? 

«Le ratifiche prenderanno molte settimane, chiaro. Ma stiamo facendo debiti comuni, dunque avranno anche il valore di un solenne impegno politico e rafforzeranno il senso della nuova Europa a cui tutti stiamo lavorando». 

Quando arrivano i primi fondi? 

«Noi seguiamo alla lettera le note di Bruxelles. Ci auguriamo che vengano rispettate le tappe e che i primi fondi arrivino a partire dalla tarda primavera». 

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