È ancora possibile approvare lo ius soli?

di Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale

Una manifestazione per chiedere l’approvazione della legge di riforma della cittadinanza a piazza Montecitorio, Roma, 12 settembre 2017.

Negli ultimi giorni si è aperto uno spiraglio che potrebbe portare all’approvazione della legge di riforma della cittadinanza impropriamente chiamata ius soli (in realtà si tratta di uno ius soli temperato). Sembrava che il governo ci avesse definitivamente rinunciato, ma tutto è stato rimesso in gioco dall’adesione del ministro delle infrastrutture Graziano Delrio a uno sciopero della fame per chiedere di approvare la riforma al più presto. L’iniziativa è stata promossa da un gruppo di insegnanti e studenti e rilanciata dal senatore Luigi Manconi e dai Radicali italiani.

Delrio propone di portare il disegno di legge 2092 in aula e di votarlo, ma nel governo ci sono posizioni diverse. Il ministro degli esteri Angelino Alfano (Alternativa popolare), in un dibattito con l’ex sindaca di Lampedusa Giusi Nicolini alla fine di settembre, aveva spiegato l’impossibilità di votare la riforma a ridosso delle elezioni politiche di primavera e della scadenza del mandato di governo. “Una cosa giusta fatta al momento sbagliato può diventare una cosa sbagliata”, aveva detto Alfano.

Il ministro dell’interno Marco Minniti, invece, l’8 ottobre si è schierato al fianco di Delrio. “Quando parliamo di ius soli e ius culturae parliamo di persone nate in Italia e che qui hanno compiuto un ciclo scolastico. Lo dico con nettezza: credo che si debba fare di tutto per approvare la riforma, anche così com’è, in questa legislatura”, ha detto Minniti. Ma è ancora possibile? Che cosa cambierebbe con la riforma? Ed è corretto parlare di ius soli?

I tempi della riforma
Il 13 ottobre 2015 i deputati hanno approvato con 310 voti a favore, 66 contrari e 83 astenuti la riforma della cittadinanza che modifica la legge numero 91 del 1992. Ma durante la discussione alla camera la proposta di legge, presentata dal Partito democratico, ha subìto diverse modifiche che ne hanno di fatto ristretto il campo di applicazione. È stata quindi inviata al senato, ma è rimasta bloccata per un anno e mezzo nella commissione affari costituzionali di palazzo Madama perché l’opposizione, in particolare la Lega nord, ha presentato decine di emendamenti. Il disegno di legge è arrivato nell’aula del senato il 14 giugno 2017. La votazione finale tuttavia non è mai stata fissata nel calendario delle sedute.

Secondo il senatore Manconi – tra i promotori dello sciopero della fame – alla fine di ottobre si potrebbe trovare il tempo per votare la riforma: “Una volta approvata la nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (Def) si apre una sorta di finestra nella quale è possibile collocare, se vi fosse la volontà politica, la discussione in aula del provvedimento”.

Il disegno di legge è sostenuto dal governo, dal Partito democratico e dai partiti di sinistra, mentre è osteggiato – oltre che dalla Lega – da Forza Italia e da Fratelli d’Italia. Il Movimento 5 stelle ha dichiarato che, se si dovesse votare, si asterrà come ha fatto alla camera. Il Partito democratico potrebbe contare tuttavia sul sostegno di alcuni senatori di Alternativa popolare (Ap), mentre altri potrebbero lasciare l’aula per abbassare il numero di senatori necessario a rendere valida la votazione. In un’intervista al Manifesto il senatore di Ap Pier Ferdinando Casini ha detto che voterebbe la legge e che almeno altri quattro o cinque senatori dello stesso partito sosterrebbero il provvedimento.

La staffetta
Lo sciopero della fame per chiedere che il governo ponga la fiducia sulla proposta di legge è stato lanciato il 3 ottobre, giornata della memoria per le vittime dell’immigrazione, da un gruppo d’insegnanti e studenti. Il maestro Franco Lorenzoni su Internazionale ha spiegato i motivi della protesta: “Quando entriamo in classe, molti di noi si trovano davanti bambini e ragazzi figli di immigrati che, pur frequentando le scuole con i compagni italiani, non sono cittadini come loro. Se nati qui, dovranno attendere fino a diciott’anni senza nemmeno avere la certezza di diventarlo, se arrivati qui da piccoli (e sono poco meno della metà) non hanno la possibilità di godere di uguali diritti nel nostro paese. Sono oltre 800milacoloro che vivono questa condizione e noi li guardiamo negli occhi tutti i giorni. Non possiamo fare finta di niente e giocare con le parole”.

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