Gentiloni: Ue, l’austerità non è l’unica bussola


“Esplorare politiche più forti e più coraggiose per rafforzare l’Unione e dare risposte ai cittadini”
Stralcio del discorso tenuto ieri dal presidente del Consiglio Paolo Gentiloni allo New York University – traduzione di Fabio Galimberti – Il Sole 24Ore

La Brexit è stata una sveglia salutare. Ci ha insegnato qualcosa che non sapevamo, o che evitiamo di riconoscere: i sostegni dei nostri legami più preziosi devono essere costantemente rinnovati, nutriti. I nostri cittadini, i nostri elettori, devono sperimentare concretamente il peso che ha l’Unione Europea nella loro vita.

Siamo all’inizio di una nuova fase per l’Unione Europea. Stiamo assistendo a passi concreti di miglioramento in direzione di una maggiore solidarietà, di una visione più condivisa di problemi pressanti. È indubbio che il giudizio di lungo periodo sul progetto europeo è quello di uno straordinario successo. Ha consentito una crescita economica senza precedenti e un welfare inclusivo in tutti i Paesi europei. La nostra Unione ha istituito la pace in terre dove la guerra era la norma. Ma la politica riguarda il futuro.

Le decisioni vanno prese sulle nuove traiettorie, non su quelle vecchie. Abbiamo bisogno di politiche economiche più forti: non di incrementare la spesa, ma di dare risposte significative ai nostri cittadini. L’Europa deve acquisire una comprensione più accurata dei danni che avvengono quando l’austerità è l’unica bussola. Sono fiducioso che presto ci arriveremo. Dobbiamo esplorare politiche più coraggiose, come un sussidio di disoccupazione europeo. Dobbiamo estendere le politiche che promuovono scambi ed esperienze intraeuropee per i giovani. Dobbiamo prendere sul serio le preoccupazioni che esprimono i nostri cittadini, e dobbiamo essere in grado di trasformarle prontamente in misure concrete. Rapidamente.

La recente esperienza del nostro Governo per impedire una potenziale crisi bancaria in Italia mi ha insegnato che c’è molto da fare per migliorare la regolamentazione europea, rendendola di più facile applicazione. In tutti questi campi, siamo «estremisti». Vogliamo di più e più infretta. Ma sappiamo anche che è ragionevole chiedere di più, e siamo persuasi che i popoli europei si aspettano moltissimo dai loro leader. Dobbiamo soddisfare queste aspettative. Dobbiamo anche ricostituire i legami tra il passato, il presente e il futuro. I maestri dell’illusione fanno sempre riferimento a un passato lontano, un’età dell’oro che non è mai esistita.

Come ha detto Mark Lilla nel suo recente, efficacissimo libro, «i reazionari della nostra epoca hanno scoperto che la nostalgia può essere un motivatore politico potente, forse perfino più potente della speranza. Le speranze possono essere deluse. La nostalgia è irrefutabile». La politica della falsa nostalgia può esserepotenteintempidisofferenza. Èper questo che rimane fondamentale ricordarci da dove veniamo veramente. Negli ultimi settant’anni, gli aspetti di fondo dell’Italia sono stati eccezionalmente stabili. Abbiamo ricostruito il Paese dopo la guerra, abbiamo sperimentato il più grande boom economico della nostra storia, abbiamo sconfitto il terrorismo interno. Abbiamo costruito un’economia moderna e dinamica, abbiamo coltivato generazioni di studiosi, intellettuali, artisti.

L’Italia ha fatto la scelta dell’Europa e della moneta unica, e più recentemente siamo riusciti a superare la Grande Recessione senza venir meno ai nostri doveri internazionali, inclusi gli sforzi globali per combattere i cambiamenti climatici. In tutti questi anni, abbiamo cercato di conciliare la libertà economica con una società inclusiva. Siamo un Paese che a volte viene raffigurato come unanazione dipoliticapoliticante e instabilità. La verità è che i nostri aspetti di fondo non sono mai cambiati dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi, e le buoneprospettive economiche ci rendono fiduciosi sulla possibilità di accelerare ulteriormente i nostri miglioramenti negli anni a venire.

Guardare al passato ci conforta nella sicurezza che persistere è una buona strategia. Che la fiducia nella democrazia è ben riposta, che i nostri valori, costruiti sulla base di una tradizione importante, sono il motore delle nostre scelte. Come diceva il presidente Lyndon Johnson, «Se riusciremo, sarà non grazie a ciò che abbiamo, maa ciò che siamo; non grazie a ciò che possediamo, ma a ciò in cui crediamo». Stiamo vivendo una difficile transizione. L’instabilità geopolitica è ancora presente, ma il dinamismo economico e, in Europa, un rinnovato sentimento di fiducia nel nostro percorso comune, alimentano la speranza che ci stiamo avviando verso tempi migliori. Le nostre società hanno attraversato dieci anni molto difficili. Avvertiamo ancora i contraccolpi dello scossone che ha colpito le nostre economie dieci anni fa, quando la crisi finanziaria ha messo termine all’equilibrio economico in cui vivevamo da oltre vent’anni. A mio parere, considerando le proporzioni della sfida, le nostre istituzioni economiche e politiche hanno retto bene. Sicuramente sono stati commessi errori.

La risposta alla crisi economica avrebbe potuto essere più agile, in particolare in Europa. Scelte come la Brexit, insieme alla comparsa del nichilismo sotto forma di populismo organizzato, sono tutte parte della complessa rete di conseguenze di quella crisi, che si è trasformata pian piano in una crisi di fiducia e sicurezza nel futuro. Noi siamo qui per ricostruire quella fiducia e quella sicurezza Stiamo facendo del nostro meglio per dare ascolto alle legittime preoccupazioni della gente: vogliamo interloquire con posti come questo, e imparare dagli esperti. Stiamo combattendo sfide su molti fronti.

Dobbiamo fronteggiare uno scenario geopolitico instabile, dove le ragioni di preoccupazione non decrescono. Potrei citare la Corea del Nord e la minaccia del terrorismo internazionale. Come sapete, l’Italia collabora strettamente con gli Stati Uniti e gli alleati della Nato per fronteggiare queste sfide. I nostri soldati, le nostre Ong, i nostri funzionari pubblici nazionali e internazionali ci rendono orgogliosi, e sono coinvolti in tutti questi scenari. La nostra attenzione è concentrata soprattutto sul Nordafrica e íl Medio Oriente, con l’obbiettivo di trovare un modo giusto e ragionevole per costruire una stabilizzazione dilungo termine e lunga durata. Vogliamo vedere l’Africa prosperare, socialmente ed economicamente.

Abbiamo imparato dalla nostra esperienza personale che pace democratica e dinamismo economico procedono mano nella mano. E sappiamo anche che questi obbiettivi si raggiungono più facilmente quando gli amici ti offrono aiuto e unpunto di vista indipendente. Continueremo in questa direzione. Mentre siamo impegnati su questi complessi fronti geopolitici, stiamo anche sperimentando, finalmente, una situazione economica positiva. I segnali di ripresa economica si sono ormai trasformati in una crescita incontestabile.

Dalla seconda metà del 2o14, l’Italia sta crescendo costantemente. Nell’anno in corso, le previsioni economiche per il nostro Paese sono state costantemente corrette al rialzo, e sono arrivate ora a una crescita attesa dell’1,5 per cento per quest’anno. I livelli di occupazione femminile e i livelli di investimenti esteri sono ai massimi storici; le esportazioni stanno crescendo velocemente, dell’8,2 per cento rispetto allo scorso anno. Dal 2o14 a oggi,la nostra economia ha creato più di 9oomila nuoviposti di lavoro, e sta aumentando il numero dipersone che passano dallo scoraggiamento e l’inattività alla ricerca di un impiego. Dobbiamo essere prudenti e non perdere slancio nei nostri sforzi di riforma. Teniamo in ordine i conti pubblici, riducendo costantemente il nostro disavanzo annuale, che secondo le proiezioni dovrebbe calare al 2,2 per cento quest’anno, ma allo stesso tempo investiamo per accrescere la produttività, sostenere la domanda interna e rafforzare misure che favoriscono l’inclusione sociale.

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