Torna, Cultura, tra la gente.
Seicento docenti universitari del nostro Paese possiedono il segreto dell’intelligenza, della cura sintattica, dell’ortografia, segreto che promette di rendere tutti gli studenti italiani sapienti, abili a scrivere correttamente in corsivo e imbattibili nelle competenze di analisi grammaticale e logica.
Trasuda, insomma, grande umiltà dalla lettera indirizzata al Presidente del Consiglio da questo gruppo di savi e promossa dal Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità, soggetto promotore che contiene già nel suo nome un’idea di formazione da cui, orgogliosamente, vogliamo ribadire la nostra lontananza.
Il paradosso cui giunge l’acuta riflessione proposta da questi docenti individua implicitamente negli studenti i colpevoli di questa “preoccupante” mancanza, rivolgendosi al legislatore al fine di porre argini e individuare urgenti rimedi contro una piaga sociale insostenibile per i tempi moderni: l’ignoranza che dilaga tra le fila di questa generazione.
Ritorna così un tòpos classico, caro ai conservatori di ogni tempo e provenienza, cioè la svalutazione acritica di generazioni che non conoscono, che non comprendono, che non indagano e che - unicamente - criticano e denigrano.
Il tentativo di applicare elementi di valutazione e di insegnamento stantii a un mondo giovanile straordinariamente in divenire e per antonomasia da sempre sfuggente nella storia a una sua netta definizione risulterebbe quasi ridicolo se a proporlo non fossero seicento docenti delle nostre Università.
L’esperienza di tanti professori che quotidianamente lavorano con i ragazzi delle scuole elementari, medie e superiori racconta per fortuna una storia diversa da quella dettata dalla cattedra di quest’illustre Accademia italiana, una storia avente l’obiettivo di suscitare curiosità, interesse e spirito critico negli studenti di tutte le età. Una storia in cui l’amore per la lettura derivi da una capacità dei docenti di appassionare i più giovani e non dall’ansia di svolgimento di un test di verifica delle competenze lessicali, concepito magari su scala nazionale senza tener conto delle peculiarità degli alunni, dei loro vissuti, delle loro condizioni socio-economiche e familiari di riferimento. Ma forse questa idea di scuola mal si concilia con l’idea elitaria dell’educazione che, con pacatezza, state cercando di proporci.
La verità è che le vostre parole risultano fastidiosamente altezzose e arroganti, ancor più perché pronunciate in virtù di un ruolo che implicherebbe un vostro impegno educativo diffuso e convinto all’interno della società italiana. Pontificate su ciò che non comprendete e non agite per rendere aperti i luoghi che oggi vivete: prima che sulla grammatica, ci chiedevamo se non vi capitasse mai di interrogarvi sull’impoverimento culturale del dibattito cui assistiamo nel nostro Paese.
Ci domandavamo inoltre se non sentiste incombere almeno in parte su di voi il peso di questa responsabilità, considerando la quasi unanime scelta che avete preso, rinchiudendovi nella vostra rassicurante torre d’avorio, rivolgendovi a noi come profeti di sciagura.
Torna, Cultura, tra la gente.
L’ortografia l’apprenderemo insieme.