La rabbia e l'algoritmo
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L'articolo scritto da Giuliano da Empoli ( saggista italiano, presidente del think tank Volta e editorialista del Messaggero) ci dice che è ora di prendere il Movimento 5 Stelle (e i suoi alleati globali) sul serio: i due volti del populismo e cosa fare da qui in poi.
Mi direte che ho perso il senso delle proporzioni, se metto a confronto un evento capitale come la nascita del partito fondato da Gramsci con i primi vagiti di un movimento la cui massima espressione culturale è stata finora l’autobiografia di Di Battista.
Può darsi. Ma il punto è che è arrivato il momento di prendere sul serio il Movimento 5 Stelle. Ci siamo illusi per troppo tempo che si trattasse di un fenomeno residuale, destinato prima o poi ad essere riassorbito, magari anche grazie all’avvento di una nuova generazione capace di spezzare l’incantesimo paralizzante del ventennio berlusconiano.
Abbiamo anche pensato che esistesse un soffitto di cristallo, oltre il quale il partito del vaffa non potesse andare. Ma ciò che sta avvenendo negli Stati Uniti e in giro per l’Europa dimostra che i soffitti di cristallo che impedivano ai demagoghi più sfacciati di arrivare al potere sono stati infranti dappertutto. E l’ipotesi che i 5 stelle possano un giorno, davvero, assumere la guida del governo dell’Italia non appartiene più al regno della fantascienza.
La verità è che, proprio come il PCI del secolo scorso, il M5S è parte di un movimento globale, che sta cambiando il volto delle democrazie liberali dell’occidente.
In un libro di alcuni anni fa, Peter Sloterdijk ha ricostruito la storia politica della rabbia. La tesi è che si tratti di un sentimento insopprimibile, che attraversa tutte le società, alimentato da coloro i quali, a torto o a ragione, ritengono di non avere abbastanza, di essere esclusi, discriminati o poco ascoltati.
Storicamente in occidente è stata la Chiesa a dare uno sbocco a questa enorme accumulazione di rabbia e poi, a partire dalla fine dell’ottocento, i partiti della sinistra. Che hanno svolto, secondo Sloterdijk, la funzione di “banche della collera”, accumulando energie che, anziché essere spese nel momento, potevano essere investite per costruire un progetto più grande. Esercizio non facile, in quanto si trattava da una parte di attizzare costantemente l’odio e il risentimento e dall’altra di controllarli, in modo che non venissero sprecati in episodi individuali, bensì servissero alla realizzazione del piano generale. In base a questo schema, il perdente si trasformava in militante e la sua rabbia trovava uno sbocco politico.
Oggi, dice Sloterdijk, nessuno gestisce più la collera accumulata negli uomini. Né la religione cattolica – che ha dovuto abbandonare i toni apocalittici, il giudizio universale e la rivincita dei perdenti nell’aldilà per andare d’accordo con la modernità – né la sinistra – che, in misura prevalente, si è riconciliata con i principi della democrazia liberale e le regole del mercato. Il risultato è che la collera ha assunto, all’inizio del XXI secolo, forme sempre più disorganizzate, dai movimenti no global alla rivolta delle banlieues.
A dieci anni dalla pubblicazione del saggio di Sloterdijk è ormai chiaro che le forze della rabbia si sono riorganizzate, trovando espressione nella galassia dei nuovi nazionalismi che, dall’Europa dell’Est agli Stati Uniti, passando per la Francia di Marine Le Pen e l’Olanda di Geert Wilders, hanno assunto un ruolo sempre più dominante sulla scena politica dei loro rispettivi paesi.