Mi ci romperò la testa
Train in vain è l’ultima traccia di London Calling; è stata inserita all’ultimo, quando la copertina era già stata predisposta e stampata, così si presenta a tutti gli effetti come una ghost track. Nelle successive edizioni dell’album è stata recuperata e così compare al suo posto, al numero 19. E’ una delle canzoni più belle dei Clash, parla di attese deluse e della fatica di andare avanti. “Prepararsi per nulla”.
Stamattina il giorno dopo il 4 dicembre è arrivato, c’è molta più nebbia del solito, tanta anche per un dicembre che inizia dopo il novembre più nebbioso di sempre. Le bozze in redazione mi aspettano, i messaggi e le telefonate anche.
Abbiamo perso, nettamente. Avevamo visto in questi mesi come andavano mettendosi le cose; prima pensavamo fosse alla nostra portata, poi avevamo capito che era difficile, quindi ci rendevamo conto che sarebbe stata durissima, alla fine non c’è stato molto da fare. Si conferma una tenuta nelle regioni rosse, un buon risultato nei centri città, brutti dati nelle periferie e bruttissimi tra i giovani, la notizia forse peggiore di tutte.
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Ieri sera eravamo nella stessa sala in cui mi ricordo che due anni fa festeggiavamo lo storico 40% delle Europee.
Matteo Renzi ha detto una cosa bellissima ieri: «dobbiamo lasciare le cose meglio di come le abbiamo trovate». E ha ricordato i 600.000 occupati in più, la legge sul dopo di noi, sulle unioni civili, sul contrasto al caporalato, i passati e i prossimi appuntamenti internazionali con l’Italia protagonista, e tante altre cose. Tra queste due date ci sono tantissime cose di cui essere orgogliosi; cose che, come abbiamo ripetuto sempre in questi anni, “poteva essere di più, poteva essere meglio”, ma intanto cose che ci sono; e ribadirlo non è accontentarsi, ma è riconoscere (come forse qualche volta abbiamo fatto fatica a capire anche noi) che per cambiare le cose servono idee, forza, capacità, consenso e soprattutto tempo e fatica. Sia per le conquiste piccole, sia per i grandi progetti.
Matteo Renzi ha detto una cosa bellissima ieri: «dobbiamo lasciare le cose meglio di come le abbiamo trovate». E ha ricordato i 600.000 occupati in più, la legge sul dopo di noi, sulle unioni civili, sul contrasto al caporalato, i passati e i prossimi appuntamenti internazionali con l’Italia protagonista, e tante altre cose. Tra queste due date ci sono tantissime cose di cui essere orgogliosi; cose che, come abbiamo ripetuto sempre in questi anni, “poteva essere di più, poteva essere meglio”, ma intanto cose che ci sono; e ribadirlo non è accontentarsi, ma è riconoscere (come forse qualche volta abbiamo fatto fatica a capire anche noi) che per cambiare le cose servono idee, forza, capacità, consenso e soprattutto tempo e fatica. Sia per le conquiste piccole, sia per i grandi progetti.
Abbiamo perso il referendum e il nostro governo si è dimesso. Ma in questi mesi abbiamo discusso tantissimo di Costituzione, imparato molto, e abbiamo fatto con coraggio una battaglia giusta, le cui ragioni c’erano prima e ci sono ancora. Per non cullarci nelle “vagonate di senno di poi”, vale poco il giorno dopo chiedersi se aveva senso procedere da soli quando per tattiche di piccolo cabotaggio si sono sfilati gli altri: era già successo, era giusto provarci. Ci sarà tempo per analizzare la nostra campagna, dovremo dedicare molto tempo allo studio e alla riflessione.
Oggi però lasciatemi dire che da segretario ho visto un Partito, che da tanti anni fatica e cerca faticosamente un modo per coniugare delega e partecipazione, attivarsi, impegnarsi, fare una grande campagna unito come non si vedeva da tempo.Anche sui nostri mezzi ci sarà tempo di riflettere, ma oggi in mezzo alla delusione e alla tristezza è tempo di dire grazie: grazie a chi ha fatto i banchetti, attaccato i manifesti, incasellato il materiale, organizzato dibattiti, condiviso post, fatto il rappresentante di lista, mandato messaggi, fatto telefonate, parlato con le persone per sostenere la riforma. E grazie a chi ha coordinato tutto questo. I rapporti umani in politica possono essere cordiali, a volte sono intesi, avranno sempre un certo grado di impalpabilità (cosa ci ha detto Luigi Berlinguer a cena), ma sono uno dei luoghi più importanti in cui ritrovare le ragioni del nostro stare insieme e delle nostre battaglie. Quindi è sacrosanto riconoscere il lavoro dei tanti amici e compagni di questi mesi.
Ci abbiamo creduto; riassorbire la botta sarà lungo e faticoso (anche se tutto quello che facevamo e continuiamo a fare già ci chiama). Non minimizziamo il dolore e la delusione, ma non dimentichiamoci il patrimonio che abbiamo, mai visto così reattivo. Non ci siamo “preparati per nulla”. Anche se per la rivincita ci vorrà molto tempo, dobbiamo tornare sul campo, perché come succede nel finale de Il giorno della Civetta, il capitano Bellodi si rende conto di amare la Sicilia, come noi amiamo la politica, il nostro paese e il nostro partito, e sa che ci tornerà per lottare per quello in cui crede:
Mi ci romperò la testa
Segretario Provinciale Monza e Brianza
Pietro Virtuani